GMG 2013 – INCONTRO CON LA CLASSE DIRIGENTE DEL BRASILE – DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

LogoGMG2013.jpg

VIAGGIO APOSTOLICO A RIO DE JANEIRO
IN OCCASIONE DELLA XXVIII GIORNATA MONDIALE
DELLA GIOVENTÙ

INCONTRO CON LA CLASSE DIRIGENTE DEL BRASILE

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Teatro Municipale, Rio de Janeiro
Sabato, 27 luglio 2013

Video(consiglio di impostare la lingua italiana)

 

Eccellenze,
Signore e Signori! Buongiorno!

Rendo grazie a Dio per l’opportunità di incontrare una così qualificata rappresentanza dei responsabili politici e diplomatici, culturali e religiosi, accademici e imprenditoriali di questo immenso Brasile.

Vorrei parlarvi nella vostra bella lingua portoghese, ma per poter esprimere meglio quello che porto nel cuore, preferisco parlare in spagnolo. Vi chiedo la cortesia si scusarmi!

Vi saluto tutti cordialmente e vi esprimo la mia riconoscenza. Ringrazio Mons. Orani e il Signor Walmyr Júnior per le gentili parole di benvenuto, di presentazione e di testimonianza. Vedo in voi la memoria e la speranza: la memoria del cammino e della coscienza della vostra Patria e la speranza che questa Patria, sempre aperta alla luce che promana dal Vangelo, possa continuare a svilupparsi nel pieno rispetto dei principi etici fondati sulla dignità trascendente della persona.

Memoria del passato e utopia verso il futuro si incontrano nel presente, che non è una congiuntura senza storia e senza promessa, ma un momento nel tempo, una sfida per raccogliere saggezza e saperla proiettare. Quanti, in una Nazione, hanno un ruolo di responsabilità, sono chiamati ad affrontare il futuro “con lo sguardo calmo di chi sa vedere la verità”, come diceva il pensatore brasiliano Alceu Amoroso Lima (Il nostro tempo, in: La vita soprannaturale e il mondo moderno, Rio de Janeiro 1956, p. 106). Vorrei condividere con voi tre aspetti di questo sguardo calmo, sereno e saggio: primo, l’originalità di una tradizione culturale; secondo, la responsabilità solidale per costruire il futuro; e terzo, il dialogo costruttivo, per affrontare il presente.

1. Anzitutto, è giusto valorizzare la dinamica originalità che caratterizza la cultura brasiliana, con la sua straordinaria capacità di integrare elementi diversi. Il comune sentire di un popolo, le basi del suo pensiero e della sua creatività, i principi fondamentali della sua vita, i criteri di giudizio in merito alle priorità, alle norme di azione, si fondano, si fondano e crescono su una visione integrale della persona umana.

Questa visione dell’uomo e della vita così come è propria del popolo brasiliano, ha ricevuto anche la linfa del Vangelo, la fede in Gesù Cristo, nell’amore di Dio e la fraternità con il prossimo. La ricchezza di questa linfa può fecondare un processo culturale fedele all’identità brasiliana e, al tempo stesso, un processo costruttore di un futuro migliore per tutti. Un processo che fa crescere l’umanizzazione integrale e la cultura dell’incontro e della relazione; questo è il modo cristiano di promuovere il bene comune, la gioia di vivere. E qui convergono fede e ragione, la dimensione religiosa con i diversi aspetti della cultura umana: arte, scienza, lavoro, letteratura… Il cristianesimo unisce trascendenza e incarnazione; per la capacità di rivitalizzare sempre il pensiero e la vita, di fronte alla minaccia della frustrazione e del disincanto che possono invadere i cuori e si diffondono nelle strade.

2. Un secondo elemento che vorrei toccare è la responsabilità sociale. Questa richiede un certo tipo di paradigma culturale e, conseguentemente, di politica. Siamo responsabili della formazione di nuove generazioni, di aiutare ad essere capaci nell’economia e nella politica, e ferme sui valori etici. Il futuro esige oggi l’opera di riabilitare la politica, riabilitare la politica, che è una delle forme più alte della carità. Il futuro esige anche una visione umanista dell’economia e una politica che realizzi sempre più e meglio la partecipazione della gente, eviti gli élitarismi e sradichi la povertà. Che nessuno sia privo del necessario e che a tutti sia assicurata dignità, fratellanza e solidarietà: questa è la strada proposta. Già ai tempi del profeta Amos, era molto frequente l’avvertimento di Dio: «Hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali […] calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri» (Am 2,6-7). Le grida che chiedono giustizia continuano ancor oggi.

Chi ha un ruolo di guida, permettetemi che dica, chi la vita ha unto come guida, deve avere obiettivi concreti e ricercare i mezzi specifici per raggiungerli, ma anche ci può essere il pericolo della disillusione, dell’amarezza, dell’indifferenza, quando le aspirazioni non si realizzano. Qui faccio appello alla dinamica della speranza che ci spinge ad andare sempre oltre, a impiegare tutte le energie e le capacità in favore delle persone per cui si opera, accettando i risultati e creando condizioni per scoprire nuovi percorsi, donandosi anche senza vedere risultati, ma mantenendo viva la speranza, con quella costanza e coraggio che nascono dall’accettazione della propria vocazione di guida e di dirigente.

E’ proprio della leadership scegliere la più giusta delle opzioni dopo averle considerate partendo dalla propria responsabilità e dall’interesse del bene comune; per questa strada si va al centro dei mali della società per vincerli anche con l’audacia di azioni coraggiose e libere. E’ nostra responsabilità, pur sempre limitata, questa comprensione di tutta la realtà, osservando, soppesando, valutando, per prendere decisioni nel momento presente, ma allargando lo sguardo verso il futuro, riflettendo sulle conseguenze delle decisioni. Chi agisce responsabilmente colloca la propria azione davanti ai diritti degli altri e davanti al giudizio di Dio. Questo senso etico appare oggi come una sfida storica senza precedenti, dobbiamo cercarlo, dobbiamo inserirlo nella stessa società. Oltre alla razionalità scientifica e tecnica, nella situazione attuale si impone il vincolo morale con una responsabilità sociale e profondamente solidale.

3. Per completare questa riflessione, oltre all’umanesimo integrale che rispetti la cultura originale e alla responsabilità solidale, ritengo fondamentale per affrontare il presente: il dialogo costruttivo. Tra l’indifferenza egoista e la protesta violenta c’è un’opzione sempre possibile: il dialogo. Il dialogo tra le generazioni, il dialogo nel popolo, perché tutti siamo popolo, la capacità di dare e ricevere, rimanendo aperti alla verità. Un Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: la cultura popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile, la cultura artistica e la cultura tecnologica, la cultura economica e la cultura della famiglia, e la cultura dei media, quando dialogano. È impossibile immaginare un futuro per la società senza un forte contributo di energie morali in una democrazia che rimanga chiusa nella pura logica o nel mero equilibrio di rappresentanza di interessi costituiti. Considero anche fondamentale in questo dialogo il contributo delle grandi tradizioni religiose, che svolgono un fecondo ruolo di lievito della vita sociale e di animazione della democrazia. Favorevole alla pacifica convivenza tra religioni diverse è la laicità dello Stato, che, senza assumere come propria nessuna posizione confessionale, rispetta e valorizza la presenza della dimensione religiosa nella società, favorendone le sue espressioni più concrete.

Quando i leader dei diversi settori mi chiedono un consiglio, la mia risposta sempre è la stessa: dialogo, dialogo, dialogo. L’unico modo di crescere per una persona, una famiglia, una società, l’unico modo per far progredire la vita dei popoli è la cultura dell’incontro, una cultura in cui tutti hanno qualcosa di buono da dare e tutti possono ricevere qualcosa di buono in cambio. L’altro ha sempre qualcosa da darmi, se sappiamo avvicinarci a lui con atteggiamento aperto e disponibile, senza pregiudizi. Questo atteggiamento aperto, disponibile e senza pregiudizi, lo definirei come “umiltà sociale” che è ciò che favorisce il dialogo. Solo così può crescere una buona intesa fra le culture e le religioni, la stima delle une per le altre senza precomprensioni gratuite e in un clima di rispetto per i diritti di ciascuna. Oggi, o si scommette sul dialogo, o si scommette sulla cultura dell’incontro, o tutti perdiamo, tutti perdiamo. Per di qui va il cammino fecondo.

Eccellenze,
Signore e Signori!

Vi ringrazio per l’attenzione. Accogliete queste parole come espressione della mia sollecitudine di Pastore di Chiesa e del rispetto e affetto che nutro per il popolo brasiliano. La fraternità tra gli uomini e la collaborazione per costruire una società più giusta non sono un sogno fantasioso, ma il risultato di uno sforzo concertato di tutti verso il bene comune. Vi incoraggio in questo vostro impegno per il bene comune, che richiede da parte di tutti saggezza, prudenza e generosità. Vi affido al Padre del Cielo chiedendogli, per l’intercessione di Nostra Signora di Aparecida, che riempia con i suoi doni ciascuno dei presenti, le rispettive famiglie e comunità umane e di lavoro e, di cuore, chiedo a Dio che vi benedica. Molte grazie.

GMG 2013 – SANTA MESSA CON I VESCOVI DELLA XXVIII GMG E CON I SACERDOTI, I RELIGIOSI E I SEMINARISTI – OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

LogoGMG2013.jpg

VIAGGIO APOSTOLICO A RIO DE JANEIRO
IN OCCASIONE DELLA XXVIII GIORNATA MONDIALE
DELLA GIOVENTÙ

SANTA MESSA CON I VESCOVI DELLA XXVIII GMG
E CON I SACERDOTI, I RELIGIOSI E I SEMINARISTI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

 Cattedrale di San Sebastiano, Rio de Janeiro
Sabato, 27 luglio 2013

Video(consiglio di impostare la lingua italiana)

 

Amati fratelli in Cristo,

Guardando questa cattedrale piena di Vescovi, sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose venuti da tutto il mondo, penso alle parole del Salmo della Messa di oggi: «Ti lodino i popoli, o Dio» (Sal 66).

Sì, siamo qui per lodare il Signore, e lo facciamo riaffermando la nostra volontà di essere suoi strumenti affinché non solo alcuni popoli lodino Dio, ma tutti. Con la stessa parresia di Paolo e Barnaba, vogliamo annunciare il Vangelo ai nostri giovani, perché incontrino Cristo e diventino costruttori di un mondo più fraterno. In questo senso, vorrei riflettere con voi su tre aspetti della nostra vocazione: chiamati da Dio; chiamati ad annunciare il Vangelo; chiamati a promuovere la cultura dell’incontro.

1. Chiamati da Dio. Credo che sia importante ravvivare in noi questa realtà, che spesso diamo per scontata in mezzo ai tanti impegni quotidiani: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi», ci dice Gesù (Gv 15,16). E’ riandare alla sorgente della nostra chiamata. Per questo, un vescovo, un sacerdote, un consacrato, una consacrata, un seminarista non può essere “smemorato”: perde il riferimento essenziale al momento iniziale del suo cammino. Chiedere la grazia, chiederla alla Vergine, lei che aveva buona memoria; chiedere la grazia di essere persone che conservano la memoria di questa prima chiamata. Siamo stati chiamati da Dio e chiamati per rimanere con Gesù (cfr Mc 3,14), uniti a Lui. In realtà, questo vivere, questo permanere in Cristo segna tutto ciò che siamo e facciamo. E’ precisamente questa “vita in Cristo” ciò che garantisce la nostra efficacia apostolica, la fecondità del nostro servizio: «Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto sia autentico» (cfr Gv 15,16). Non è la creatività, per quanto pastorale sia, non sono gli incontri o le pianificazioni che assicurano i frutti, anche se aiutano e molto, ma quello che assicura il frutto è l’essere fedeli a Gesù, che ci dice con insistenza: «Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4). E noi sappiamo bene che cosa significa: contemplarLo, adorarLo e abbracciarLo, nel nostro incontro quotidiano con Lui nell’Eucaristia, nella nostra vita di preghiera, nei nostri momenti di adorazione; riconoscerlo presente e abbracciarlo anche nelle persone più bisognose. Il “rimanere” con Cristo non significa isolarsi, ma è un rimanere per andare all’incontro con gli altri. Qui voglio ricordare alcune parole della Beata Madre Teresa di Calcutta. Dice così: «Dobbiamo essere molto orgogliose della nostra vocazione che ci dà l’opportunità di servire Cristo nei poveri. È nelle “favelas”, nei “cantegriles“, nelle “villas miseria”, che si deve andare a cercare e servire Cristo. Dobbiamo andare da loro come il sacerdote si reca all’altare, con gioia» (Mother Instructions, I, p. 80). Gesù è il Buon Pastore, è il nostro vero tesoro; per favore, non cancelliamolo dalla nostra vita! Radichiamo sempre più  il nostro cuore in Lui (cfr Lc 12,34).

2. Chiamati ad annunciare il Vangelo. Molti di voi, carissimi Vescovi e sacerdoti, se non tutti, siete venuti per accompagnare i vostri giovani alla loro Giornata Mondiale. Anch’essi hanno ascoltato le parole del mandato di Gesù: “Andate e fate discepoli tutti i popoli” (cfr Mt 28,19). E’ nostro impegno di Pastori aiutarli a far ardere nel loro cuore il desiderio di essere discepoli missionari di Gesù. Certo, molti potrebbero sentirsi un po’ spaventati di fronte a questo invito, pensando che essere missionari significhi lasciare necessariamente il Paese, la famiglia e gli amici. Dio chiede che siamo missionari. Dove siamo? Dove Lui stesso ci colloca, nella nostra patria o dove ci ponga. Aiutiamo i giovani. Abbiamo l’orecchio attento per ascoltare le loro illusioni – hanno bisogno di essere ascoltati -, per ascoltare i loro successi, per ascoltare le loro difficoltà. Bisogna mettersi seduti, ascoltando forse lo stesso libretto, ma con una musica diversa, con identità differenti. La pazienza di ascoltare! Questo ve lo chiedo con tutto il cuore! Nel confessionale, nella direzione spirituale, nell’accompa-gnamento. Sappiamo perdere tempo con loro. Seminare, costa e affatica, affatica moltissimo! Ed è molto più gratificante godere del raccolto! Che furbizia! Tutti godiamo di più con il raccolto! Però Gesù ci chiede che seminiamo con serietà.

Non risparmiamo le nostre forze nella formazione dei giovani! San Paolo usa un’espressione, che ha fatto diventare realtà nella sua vita, rivolgendosi ai suoi cristiani: «Figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi» (Gal 4, 19). Anche noi facciamola diventare realtà nel nostro ministero! Aiutare i nostri giovani a riscoprire il coraggio e la gioia della fede, la gioia di essere amati personalmente da Dio, questo è molto difficile, ma quando un giovane lo comprende, quando un giovane lo sente con l’unzione che gli dona lo Spirito Santo, questo “essere amato personalmente da Dio” lo accompagna poi per tutta la vita; riscoprire la gioia, che Dio ha dato suo Figlio Gesù per la nostra salvezza. Educarli, nella missione, ad uscire, ad andare, ad essere “callejeros de la fe” [girovaghi della fede]. Così ha fatto Gesù con i suoi discepoli: non li ha tenuti attaccati a sé come una chioccia con i suoi pulcini; li ha inviati! Non possiamo restare chiusi nella parrocchia, nelle nostre comunità, nella nostra istituzione parrocchiale o nella nostra istituzione diocesana, quando tante persone sono in attesa del Vangelo! Uscire inviati. Non è semplicemente aprire la porta perché vengano, per accogliere, ma è uscire dalla porta per cercare e incontrare! Spingiamo i giovani affinché escano. Certo che faranno stupidaggini. Non abbiamo paura! Gli Apostoli le hanno fatte prima di noi. Spingiamoli ad uscire. Pensiamo con decisione alla pastorale partendo dalla periferia, partendo da coloro che sono più lontani, da coloro che di solito non frequentano la parrocchia. Loro sono gli invitati VIP. Andare a cercarli nei crocevia delle strade.

3. Essere chiamati da Gesù, essere chiamati per evangelizzare, e terzo: essere chiamati a promuovere la cultura dell’incontro. In molti ambienti, e in generale in questo umanesimo economicista che ci è stato imposto nel mondo, si è fatta strada una cultura dell’esclusione, una “cultura dello scarto” Non c’è posto né per l’anziano né per il figlio non voluto; non c’è tempo per fermarsi con quel povero nella strada. A volte sembra che per alcuni, i rapporti umani siano regolati da due “dogmi” moderni: efficienza e pragmatismo. Cari Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e anche voi Seminaristi che vi preparate al ministero, abbiate il coraggio di andare controcorrente a questa cultura. Avere il coraggio! Ricordate una cosa, a me questo fa molto bene e lo medito frequentemente: prendete il Primo Libro dei Maccabei, ricordate quando molti [non i Maccabei, NDR] vollero adeguarsi alla cultura  dell’epoca: “No…! Lasciamo, no…! Mangiamo di tutto, come tutta la gente… Bene, la Legge sì, ma che non sia tanto…”. E finirono per lasciare la fede per mettersi nella corrente di questa cultura. Abbiate il coraggio di andare controcorrente a questa cultura efficientista, a questa cultura dello scarto. L’incontro e l’accoglienza di tutti, la solidarietà – una parola che si sta nascondendo in questa cultura, quasi fosse una cattiva parola -, la solidarietà e la fraternità, sono elementi che rendono la nostra civiltà veramente umana.

Essere servitori della comunione e della cultura dell’incontro! Vi vorrei quasi ossessionati in questo senso. E farlo senza essere presuntuosi, imponendo “le nostre verità”, ma bensì guidati dall’umile e felice certezza di chi è stato trovato, raggiunto e trasformato dalla Verità che è Cristo e non può non annunciarla (cfr Lc 24,13-35).

Cari fratelli e sorelle, siamo chiamati da Dio, con nome e cognome, ciascuno di noi, chiamati ad annunciare il Vangelo e a promuovere con gioia la cultura dell’incontro. La Vergine Maria è nostro modello. Nella sua vita ha dato «l’esempio di quell’affetto materno che dovrebbe ispirare tutti quelli che cooperano nella missione apostolica che ha la Chiesa di rigenerare gli uomini» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 65). Le chiediamo che ci insegni a incontrarci ogni giorno con Gesù. E quando facciamo finta di niente, perché abbiamo molte cose da fare e il tabernacolo rimane abbandonato, che ci prenda per mano. Chiediamoglielo! Guarda, Madre, quando sono disorientato, conducimi per mano. Che ci spinga a uscire all’incontro di tanti fratelli e sorelle che sono nella periferia, che hanno sete di Dio e non hanno chi lo annunci. Che non ci butti fuori di casa, ma che ci spinga ad uscire di casa, E così che siamo discepoli del Signore. Che Ella conceda a tutti questa grazia.

GMG 2013 – VIA CRUCIS CON I GIOVANI – DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

LogoGMG2013.jpg

VIAGGIO APOSTOLICO A RIO DE JANEIRO
IN OCCASIONE DELLA XXVIII GIORNATA MONDIALE
DELLA GIOVENTÙ

VIA CRUCIS CON I GIOVANI

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Lungomare di Copacabana, Rio de Janeiro
Venerdì, 26 luglio 2013

Video(consiglio di impostare la lingua italiana)

 

Carissimi giovani!

Siamo venuti oggi qui per accompagnare Gesù lungo il suo cammino di dolore e di amore, il cammino della Croce, che è uno dei momenti forti della Giornata Mondiale della Gioventù. Al termine dell’Anno Santo della Redenzione, il Beato Giovanni Paolo II ha voluto affidare la Croce a voi, giovani, dicendovi: «Portatela nel mondo come segno dell’amore di Gesù per l’umanità e annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c’è salvezza e redenzione» (Parole ai giovani [22 aprile 1984]: Insegnamenti VII,1 [1984], 1105). Da allora la Croce ha percorso tutti i Continenti e ha attraversato i più svariati mondi dell’esistenza umana, restando quasi impregnata dalle situazioni di vita dei tanti giovani che l’hanno vista e l’hanno portata. Cari fratelli, nessuno può toccare la Croce di Gesù senza lasciarvi qualcosa di se stesso e senza portare qualcosa della Croce di Gesù nella propria vita. Tre domande vorrei che risuonassero nei vostri cuori questa sera accompagnando il Signore: Che cosa avete lasciato nella Croce voi, cari giovani del Brasile, in questi due anni in cui ha attraversato il vostro immenso Paese? E che cosa ha lasciato la Croce di Gesù in ciascuno di voi? E, infine, che cosa insegna alla nostra vita questa Croce?

1. Un’antica tradizione della Chiesa di Roma racconta che l’Apostolo Pietro, uscendo dalla città per scappare dalla persecuzione di Nerone, vide Gesù che camminava nella direzione opposta e stupito gli domandò: “Signore, dove vai?”. La risposta di Gesù fu: “Vado a Roma per essere crocifisso di nuovo”. In quel momento, Pietro capì che doveva seguire il Signore con coraggio, fino in fondo, ma capì soprattutto che non era mai solo nel cammino; con lui c’era sempre quel Gesù che lo aveva amato fino a morire. Ecco, Gesù con la sua Croce percorre le nostre strade e prende su di sé le nostre paure, i nostri problemi, le nostre sofferenze, anche le più profonde. Con la Croce Gesù si unisce al silenzio delle vittime della violenza, che ormai non possono più gridare, soprattutto gli innocenti e gli indifesi; con la Croce, Gesù si unisce alle famiglie che sono in difficoltà, e che piangono la tragica perdita dei loro figli, come nel caso dei 242 giovani vittime dell’incendio nella città di Santa María all’inizio di quest’anno. Preghiamo per loro. Con la Croce Gesù si unisce a tutte le persone che soffrono la fame in un mondo che, dall’altro lato, si permette il lusso di gettare via ogni giorno tonnellate di cibo; con la Croce, Gesù è unito a tante madri e a tanti padri che soffrono vedendo i propri figli vittime di paradisi artificiali come la droga; con la Croce, Gesù si unisce a chi è perseguitato per la religione, per le idee, o semplicemente per il colore della pelle; nella Croce, Gesù è unito a tanti giovani che hanno perso la fiducia nelle istituzioni politiche perché vedono l’egoismo e la corruzione o che hanno perso la fede nella Chiesa, e persino in Dio, per l’incoerenza di cristiani e di ministri del Vangelo. Quanto fanno soffrire Gesù le nostre incoerenze! Nella Croce di Cristo c’è la sofferenza, il peccato dell’uomo, anche il nostro, e Lui accoglie tutto con le braccia aperte, carica sulle sue spalle le nostre croci e ci dice: Coraggio! Non sei solo a portarle! Io le porto con te e io ho vinto la morte e sono venuto a darti speranza, a darti vita (cfr Gv 3,16).

2. Adesso possiamo rispondere alla seconda domanda: che cosa ha lasciato la Croce in coloro che l’hanno vista e in coloro che l’hanno toccata? Che cosa lascia la Croce in ciascuno di noi? Vedete: lascia un bene che nessuno può darci: la certezza dell’amore fedele di Dio per noi. Un amore così grande che entra nel nostro peccato e lo perdona, entra nella nostra sofferenza e ci dona la forza per portarla, entra anche nella morte per vincerla e salvarci. Nella Croce di Cristo c’è tutto l’amore di Dio, c’è la sua immensa misericordia. E questo è un amore di cui possiamo fidarci, nel quale possiamo credere. Cari giovani, fidiamoci di Gesù, affidiamoci a Lui (cfr Lettera enc. Lumen fidei, 16) perché Lui non delude mai nessuno! Solo in Cristo morto e risorto troviamo la salvezza e la redenzione. Con lui, il male, la sofferenza e la morte non hanno l’ultima parola, perché Lui ci dona speranza e vita: ha trasformato la Croce dall’essere uno strumento di odio, di sconfitta e di morte ad essere un segno di amore, di vittoria, di trionfo e di vita.

Il primo nome dato al Brasile è stato proprio quello di “Terra de Santa Cruz”. La Croce di Cristo è stata piantata non solo sulla spiaggia più di cinque secoli fa, ma anche nella storia, nel cuore e nella vita del popolo brasiliano e in molti altri popoli. Il Cristo sofferente lo sentiamo vicino, uno di noi che condivide il nostro cammino fino in fondo. Non c’è croce, piccola o grande che sia, della nostra vita che il Signore non condivida con noi.

3. Ma la Croce di Cristo invita anche a lasciarci contagiare da questo amore, ci insegna allora a guardare sempre l’altro con misericordia e amore, soprattutto chi soffre, chi ha bisogno di aiuto, chi aspetta una parola, un gesto, la Croce ci invita ad uscire da noi stessi per andare loro incontro e tendere loro la mano. Tanti volti li abbiamo visti nella Via Crucis, tanti volti hanno accompagnato Gesù nel suo cammino verso il Calvario: Pilato, il Cireneo, Maria, le donne… Io oggi ti chiedo: Tu come chi di loro vuoi essere? Vuoi essere come Pilato che non ha il coraggio di andare controcorrente per salvare la vita di Gesù e se ne lava le mani. Dimmi: sei uno di quelli che si lavano le mani, che fa il finto tonto e guarda dall’altra parte? O sei come il Cireneo, che aiuta Gesù a portare quel legno pesante, come Maria e le altre donne, che non hanno paura di accompagnare Gesù fino alla fine, con amore, con tenerezza. E tu, come chi di questi vuoi essere? Come Pilato, come il Cireneo, come Maria? Gesù ti sta guardando adesso e ti dice: mi vuoi aiutare a portare la Croce? Fratelli e sorelle: con tutta la forza di giovane, che cosa Gli rispondi?

Cari giovani, alla Croce di Cristo portiamo le nostre gioie, le nostre sofferenze, i nostri insuccessi; troveremo un Cuore aperto che ci comprende, ci perdona, ci ama e ci chiede di portare questo stesso amore nella nostra vita, di amare ogni nostro fratello e sorella con questo stesso amore.