VANGELO DEL GIORNO

Cari lettori,

Ringraziandovi di cuore per le vostre numerosissime visite, vorrei comunicarvi la nascita di una nuova sessione che da lunedì sarà presente su questo blog e che se Dio vuole rimarrà attiva fino a Natale.  Per vivere  al meglio il Tempo di Avvento ormai alle porte, ogni mattina alle ore 7.00 potrete trovare  il VANGELO DEL GIORNO. Questo permetterà a chi è interessato di meditare, pregare e di  far propria la Parola del Signore. Se voleste lasciare un vostro commento, per poter condividere con tutti quello che quel brano evangelico vi comunica, dareste la possibilità anche agli altri di arricchirsi. In questo modo potremo prepararci insieme a vivere veramente un Santo Natale!

Con la speranza che sia una cosa gradita! Auguro a tutti voi buon Avvento. Luca.

 

Ricordo brevemente gli appuntamenti della settima:

Domenica: possibilità di seguire in diretta l’Angelus del Santo Padre. Ore 12.00.

Lunedì: Vangelo del giorno; pubblicazione del testo dell’Angelus.

Martedì: Vangelo del giorno.

Mercoledì: Vangelo del giorno; possibilità di seguire in diretta l’Udienza Generale del Santo Padre. Ore 10.20

Giovedì: Vangelo del giorno; pubblicazione del testo dell’Udienza Generale.

Venerdì: Vangelo del giorno.

Sabato: Vangelo del giorno; pubblicazione della Liturgia della Parola domenicale con una breve riflessione personale. Ore 14.00.

Anno Liturgico

 

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L’anno liturgico è l’articolazione del calendario annuale della liturgia della Chiesa Cattolica. Inizia con la prima domenica di Avvento (a fine novembre – inizio dicembre) e termina con l’ultima settimana del Tempo ordinario.

Esso è costituito da:

    * un calendario di celebrazioni articolate attorno al mistero pasquale di Cristo, con il ciclo maggiore della Pasqua e il ciclo minore del Natale;
    * un ciclo di letture bibliche per la celebrazione dell’Eucarestia di tutti i giorni dell’anno;
    * un ciclo di letture bibliche e patristiche, nonchè di altri testi, per la Liturgia delle Ore.

Vivendo l’anno liturgico percorriamo spiritualmente i vari momenti della vita di Gesù.

Durante i mesi estivi e tra il ciclo di Natale e quello di Pasqua si celebra il Tempo Ordinario, che riguarda le giornate in cui non vi sono particolari feste o periodi liturgici. Gli anni liturgici sono in realtà tre e muovono quasi in concomitanza con il calendario dell’anno civile; attraverso di essi non soltanto i fedeli possono usufruire di un’adeguata organizzazione del patrimonio scritturale biblico ai fini di una retta meditazione delle Scritture medesime, ma hanno anche la possibilità di immergersi nell’intero mistero di Cristo e della sua opera redentiva a favore dell’umanità: in ciascuno di questi anni, che inizia con la prima domenica di Avvento per concludersi con l’ultima domenica del Tempo Ordinario, la Chiesa invita i fedeli alla comprensione delle varie tappe della storia della salvezza e in particolar modo nell’evento salvifico Gesù Cristo attraverso l’itinerario del suo Avvento, della sua Incarnazione, Vita Pubblica, Morte e Risurrezione, fino all’Ascensione e alla Pentecoste. In più, attraverso la celebrazione, si rendono presenti nell’attualità della Chiesa le suddette azioni di grazia da parte del Signore, sicchè si può concludere che l’anno liturgico è costituito dallo stesso Signore che nel tempo opera un prolungamento della sua azione salvifica.

Non per niente gli anni liturgici nel loro insieme sono compendiosi di tutta la Sacra Scrittura che viene presentata secondo uno schema organico e ben determinato.

La Chiesa suddivide questa serie di anni attraverso la denominazione di Anno A, Anno B, Anno C, a cui corrisponde un ciclo per quanto riguarda le letture festive (Ciclo A, Ciclo B, Ciclo C), aventi ciascuno di essi una peculiare fisionomia. Ci si limiterà, in questa sede, ai Vangeli, essendo questi l’oggetto principale della nostra meditazione festiva, senza tuttavia che noi si sminuisca l’importanza dei testi dell’Antico Testamento e della Seconda Lettura (di solito staccata dal contesto) che li accompagnano. Ora, durante l’anno A ad offrirci spunti di meditazione su Gesù Cristo è l’evangelista San Matteo; durante l’anno B è San Marco, mentre l’anno C conosce il mistero incarnazionistico salvifico attraverso il Vangelo di San Luca. San Giovanni, che a più riprese compare pressocchè nella Liturgia della Parola di tutti e tre gli anni, viene proposto in modo particolare durante il tempo di Passione del Signore.

(Tratto da L’enciclopedia Cattolica).

 

 

 

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tempo  note   ricorrenza
 
Avvento 4 settimane – dalla Domenica intorno al 30 Novembre
(27 Nov – 3 Dic)
Do 1. di Avvento
Do 2. di Avvento
Do 3. di Avvento
Do 4. di Avvento
 
Tempo di Natale dalla notte di Natale fino alla festa del Battesimo di Gesù (la domenica dopo l’Epifania)
25 Dic. Natale del Signore
Do S. Famiglia di Nazaret
6 Gen. Epifania
Do Battesimo di Gesù
 
Tempo Ordinario dal lunedì che segue il Battesimo di Gesù fino al martedì che precede il mercoledì delle Ceneri
Do 1. Dom.
Do 2. Dom.
Do 3. Dom.
Do 4. Dom.
Do 5. Dom.
Do 6. Dom. &nassenti se Pasqua bassa
Do 7. Dom.
Do 8. Dom.
Do 9. Dom.
 
Quaresima 40 giorni – dal mercoledì delle Ceneri fino alle prime ore pomeridiane del Giovedì Santo
Me Mercoledì delle Ceneri
Do 1. di Quaresima
Do 2. di Quaresima
Do 3. di Quaresima
Do 4. di Quaresima
Do 5. di Quaresima
 
Tempo di Pasqua il Concilio di Nicea nel 325: domenica successiva al primo plenilunio che si verifica dopo l’equinozio di primavera
(22 marzo: bassa – 25 aprile: alta)

Settimana santa: da Domenica delle Palme a Sabato santo

  Giovedì santo
Do Domenica delle Palme
   
  Venerdì santo
  Sabato santo
  Pasqua di Resurrezione
  Lunedì dell’Angelo
  2. Domenica dopo Pasqua
  3. Domenica dopo Pasqua
  4. Domenica dopo Pasqua
  5. Domenica dopo Pasqua
  6. Domenica dopo Pasqua
  7. Dom. dopo Pasqua – Ascensione di N.S.G.C.
  Pentecoste
 
Tempo Ordinario dal lunedì che segue la Pentecoste fino al sabato che precede la prima domenica di Avvento
  1. Domenica dopo Pentecoste
9. fr. a. – SS. Trinità
  Corpus Domini – 2. Domenica dopo Pentecoste
  3. Domenica dopo Pentecoste
  4. Domenica dopo Pentecoste
  5. Domenica dopo Pentecoste
  6. Domenica dopo Pentecoste
  7. Domenica dopo Pentecoste
  8. Domenica dopo Pentecoste
  9. Domenica dopo Pentecoste
  10. Domenica dopo Pentecoste
  11. Domenica dopo Pentecoste
  12. Domenica dopo Pentecoste
  13. Domenica dopo Pentecoste
  14. Domenica dopo Pentecoste
  15. Domenica dopo Pentecoste
  16. Domenica dopo Pentecoste
  17. Domenica dopo Pentecoste
  18. Domenica dopo Pentecoste
  19. Domenica dopo Pentecoste
  20. Domenica dopo Pentecoste
  21. Domenica dopo Pentecoste
  22. Domenica dopo Pentecoste
  23. Domenica dopo Pentecoste
  24. Domenica dopo Pentecoste
  25. Domenica dopo Pentecoste
  26. Domenica dopo Pentecoste
  27. Domenica dopo Pentecoste
  28. Domenica dopo Pentecoste
  29. Domenica dopo Pentecoste
  30. Domenica dopo Pentecoste
  31. Domenica dopo Pentecoste
  32. Domenica dopo Pentecoste
  33. Domenica dopo Pentecoste
  34. Domenica dopo Pentecoste

 

Mercoledì, 26 novembre 2008

BENEDETTO XVI

 

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 26 novembre 2008 

 

Questa mattina saluto con grande gioia Sua Santità Aram I, Catholicos di Cilicia degli Armeni, insieme alla distinta delegazione che lo accompagna e ai pellegrini armeni dei vari Paesi. Questa visita fraterna è un’occasione significativa per rafforzare i vincoli di unità già esistenti fra noi, mentre procediamo verso la piena comunione che è sia un obiettivo di tutti i seguaci di Cristo sia un dono da implorare ogni giorno dal Signore.

Per questo motivo, Santità, invoco la grazia dello Spirito Santo sul suo pellegrinaggio presso le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo e invito tutti i presenti a pregare con fervore il Signore affinché la sua visita e i nostri incontri siano un ulteriore passo avanti lungo il cammino verso la piena unità.

Santità, desidero esprimere particolare gratitudine per il suo costante impegno personale nel campo dell’ecumenismo, in particolare nella Commissione congiunta Internazionale per il Dialogo Teologico fra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali e nel Consiglio Mondiale delle Chiese.

Sulla facciata esterna della basilica di San Pietro c’è una statua di San Gregorio l’Illuminatore, fondatore della Chiesa armena, che uno dei vostri storici ha definito “nostro progenitore e padre del Vangelo”. La presenza di questa statua evoca le sofferenze che ha sopportato nel condurre il popolo armeno al cristianesimo, ma ricorda anche i numerosi martiri e confessori della fede la cui testimonianza ha recato frutti abbondanti nella storia del vostro popolo. La cultura e la spiritualità armene sono pervase dall’orgoglio di questa testimonianza dei loro antenati, che hanno sofferto con fedeltà e coraggio in comunione con l’Agnello ucciso per la salvezza del mondo.

Benvenuti, Santità, cari Vescovi e cari amici! Insieme invochiamo l’intercessione di San Gregorio l’Illuminatore e soprattutto la Vergine Madre di Dio cosicché illuminino il nostro cammino verso la pienezza di quell’unità che noi tutti desideriamo.


Cari fratelli e sorelle,

nella catechesi di mercoledì scorso ho parlato della questione di come l’uomo diventi giusto davanti a Dio. Seguendo san Paolo, abbiamo visto che l’uomo non è in grado di farsi “giusto” con le sue proprie azioni, ma può realmente divenire “giusto” davanti a Dio solo perché Dio gli conferisce la sua “giustizia” unendolo a Cristo suo Figlio. E questa unione con Cristo l’uomo l’ottiene mediante la fede. In questo senso san Paolo ci dice: non le nostre opere, ma la fede ci rende “giusti”. Questa fede, tuttavia, non è un pensiero, un’opinione, un’idea. Questa fede è comunione con Cristo, che il Signore ci dona e perciò diventa vita, diventa conformità con Lui. O, con altre parole, la fede, se è vera, se è reale, diventa amore, diventa carità, si esprime nella carità. Una fede senza carità, senza questo frutto non sarebbe vera fede. Sarebbe fede morta.

Abbiamo quindi trovato nell’ultima catechesi due livelli: quello della non rilevanza delle nostre azioni, delle nostre opere per il raggiungimento della salvezza e quello della “giustificazione” mediante la fede che produce il frutto dello Spirito. La confusione di questi due livelli ha causato, nel corso dei secoli, non pochi fraintendimenti nella cristianità. In questo contesto è importante che san Paolo nella stessa Lettera ai Galati ponga, da una parte, l’accento, in modo radicale, sulla gratuità della giustificazione non per le nostre opere, ma che, al tempo stesso, sottolinei pure la relazione tra la fede e la carità, tra la fede e le opere: “In Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6). Di conseguenza, vi sono, da una parte, le “opere della carne” che sono “fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria…” (Gal 5,19-21): tutte opere contrarie alla fede; dall’altra, vi è l’azione dello Spirito Santo, che alimenta la vita cristiana suscitando “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22): sono questi i frutti dello Spirito che sbocciano dalla fede.

All’inizio di quest’elenco di virtù è citata l’agape, l’amore, e nella conclusione il dominio di sé. In realtà, lo Spirito, che è l’Amore del Padre e del Figlio, effonde il suo primo dono, l’agape, nei nostri cuori (cfr Rm 5,5); e l’agape, l’amore, per esprimersi in pienezza esige il dominio di sé. Dell’amore del Padre e del Figlio, che ci raggiunge e trasforma la nostra esistenza in profondità, ho anche trattato nella mia prima Enciclica: Deus caritas est. I credenti sanno che nell’amore vicendevole s’incarna l’amore di Dio e di Cristo, per mezzo dello Spirito. Ritorniamo alla Lettera ai Galati. Qui san Paolo dice che, portando i pesi gli uni degli altri, i credenti adempiono il comandamento dell’amore (cfr Gal 6,2). Giustificati per il dono della fede in Cristo, siamo chiamati a vivere nell’amore di Cristo per il prossimo, perché è su questo criterio che saremo, alla fine della nostra esistenza, giudicati. In realtà, Paolo non fa che ripetere ciò che aveva detto Gesù stesso e che ci è stato riproposto dal Vangelo di domenica scorsa, nella parabola dell’ultimo Giudizio. Nella Prima Lettera ai Corinzi, san Paolo si diffonde in un famoso elogio dell’amore. E’ il cosiddetto inno alla carità: “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi l’amore, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita… La carità è magnanima, benevola è la carità, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse…” (1 Cor 13,1.4-5). L’amore cristiano è quanto mai esigente poiché sgorga dall’amore totale di Cristo per noi: quell’amore che ci reclama, ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene, sino a tormentarci, poiché costringe ciascuno a non vivere più per se stesso, chiuso nel proprio egoismo, ma per “Colui che è morto e risorto per noi” (cfr 2 Cor 5,15). L’amore di Cristo ci fa essere in Lui quella creatura nuova (cfr 2 Cor 5,17) che entra a far parte del suo Corpo mistico che è la Chiesa.

Vista in questa prospettiva, la centralità della giustificazione senza le opere, oggetto primario della predicazione di Paolo, non entra in contraddizione con la fede operante nell’amore; anzi esige che la nostra stessa fede si esprima in una vita secondo lo Spirito. Spesso si è vista un’infondata contrapposizione tra la teologia di san Paolo e quella di san Giacomo, che nella sua Lettera scrive: “Come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta” (2,26). In realtà, mentre Paolo è preoccupato anzitutto di dimostrare che la fede in Cristo è necessaria e sufficiente, Giacomo pone l’accento sulle relazioni consequenziali tra la fede e le opere (cfr Gc 2,2-4). Pertanto sia per Paolo sia per Giacomo la fede operante nell’amore attesta il dono gratuito della giustificazione in Cristo. La salvezza, ricevuta in Cristo, ha bisogno di essere custodita e testimoniata “con rispetto e timore. E’ Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo il suo disegno d’amore. Fate tutto senza mormorare e senza esitare… tenendo salda la parola di vita”, dirà ancora san Paolo ai cristiani di Filippi (cfr Fil 2,12-14.16).

Spesso siamo portati a cadere negli stessi fraintendimenti che hanno caratterizzato la comunità di Corinto: quei cristiani pensavano che, essendo stati giustificati gratuitamente in Cristo per la fede, “tutto fosse loro lecito”. E pensavano, e spesso sembra che lo pensino anche cristiani di oggi, che sia lecito creare divisioni nella Chiesa, Corpo di Cristo, celebrare l’Eucaristia senza farsi carico dei fratelli più bisognosi, aspirare ai carismi migliori senza rendersi conto di essere membra gli uni degli altri, e così via. Disastrose sono le conseguenze di una fede che non s’incarna nell’amore, perché si riduce all’arbitrio e al soggettivismo più nocivo per noi e per i fratelli. Al contrario, seguendo san Paolo, dobbiamo prendere rinnovata coscienza del fatto che, proprio perché giustificati in Cristo, non apparteniamo più a noi stessi, ma siamo diventati tempio dello Spirito e siamo perciò chiamati a glorificare Dio nel nostro corpo con tutta la nostra esistenza (cfr 1 Cor 6,19). Sarebbe uno svendere il valore inestimabile della giustificazione se, comprati a caro prezzo dal sangue di Cristo, non lo glorificassimo con il nostro corpo. In realtà, è proprio questo il nostro culto “ragionevole” e insieme “spirituale”, per cui siamo esortati da Paolo a “offrire il nostro corpo come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” (Rm 12,1). A che cosa si ridurrebbe una liturgia rivolta soltanto al Signore, senza diventare, nello stesso tempo, servizio per i fratelli, una fede che non si esprimesse nella carità? E l’Apostolo pone spesso le sue comunità di fronte al giudizio finale, in occasione del quale tutti “dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male” (2 Cor 5,10; cfr anche Rm 2,16). E questo pensiero del Giudizio deve illuminarci nella nostra vita di ogni giorno.

Se l’etica che Paolo propone ai credenti non scade in forme di moralismo e si dimostra attuale per noi, è perché, ogni volta, riparte sempre dalla relazione personale e comunitaria con Cristo, per inverarsi nella vita secondo lo Spirito. Questo è essenziale: l’etica cristiana non nasce da un sistema di comandamenti, ma è conseguenza della nostra amicizia con Cristo. Questa amicizia influenza la vita: se è vera si incarna e si realizza nell’amore per il prossimo. Per questo, qualsiasi decadimento etico non si limita alla sfera individuale, ma è nello stesso tempo svalutazione della fede personale e comunitaria: da questa deriva e su essa incide in modo determinante. Lasciamoci quindi raggiungere dalla riconciliazione, che Dio ci ha donato in Cristo, dall’amore “folle” di Dio per noi: nulla e nessuno potranno mai separarci dal suo amore (cfr Rm 8,39). In questa certezza viviamo. E’ questa certezza a donarci la forza di vivere concretamente la fede che opera nell’amore.