XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 12 OTTOBRE 2008
 
XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 
 
LITURGIA DELLA PAROLA
 
Antifona d’ingresso
Se consideri le nostre colpe, Signore,
chi potrà resistere?
Ma presso di te è il perdono,
o Dio di Israele.
Colletta
Ci preceda e ci accompagni sempre la tua grazia,
Signore,
perché, sorretti dal tuo paterno aiuto,
non ci stanchiamo mai di operare il bene.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Oppure:

O Padre,
che inviti il mondo intero alle nozze del tuo Figlio,
donaci la sapienza del tuo Spirito,
perché possiamo testimoniare
qual è la speranza della nostra chiamata,
e nessun uomo
abbia mai a rifiutare il banchetto della vita eterna
o a entrarvi senza l’abito nuziale.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…

PRIMA LETTURA
Is 25,6-10a

Dal libro del profeta Isaia

Preparerà il Signore degli eserciti
per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande,
un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte
il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre distesa su tutte le nazioni.
Eliminerà la morte per sempre.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto,
l’ignominia del suo popolo
farà scomparire da tutta la terra,
poiché il Signore ha parlato.
E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio;
in lui abbiamo sperato perché ci salvasse.
Questi è il Signore in cui abbiamo sperato;
rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza,
poiché la mano del Signore si poserà su questo monte».


Parola di Dio
 
 Salmo responsoriale
Sal 22
Abiterò per sempre nella casa del Signore.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.
 

SECONDA LETTURA
Fil 4,12-14.19-20
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési

Fratelli, so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni.
Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù.
Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Parola di Dio.
 

Canto al Vangelo
Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo
illumini gli occhi del nostro cuore
per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati.
Alleluia.

VANGELO
Mt 22,1-14
 
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

Parola del Signore.
 
   BREVE RIFLESSIONE PERSONALE:

Gli invitati che non accettano l’invito alle nozze rappresentano il popolo di Israele che nonostante abbiano avuto il privilegio di avere Gesù in mezzo a loro, non hanno capito il suo messaggio di salvezza, condannandolo addirittura a morte. La missione del Signore però riguarda tutta l’umanità. Quello che mi interessa sottolineare è una cosa semplice, banale, ma che se ci pensiamo bene non è poi così scontata: abbiamo detto che il messaggio di Cristo riguarda tutti gli uomini, vista così può sembrare una cosa talmente grande,  che potremo pensare: “Siamo talmente in tanti in questo mondo, il Signore mica si rivolgerà proprio a me?” Con questo ragionamento rischiamo, spesso per comodità, di non sentirci chiamati in causa, ma l’invito di Gesù interpella ciascuno di noi personalmente.

Torniamo alla parabola. Visto che gli invitati non hanno accettato l’invito al banchetto nuziale il re fa chiamare tutte le persone che si trovano in strada, i così detti ultimi, gli emarginati. In questo passaggio ritroviamo il filo conduttore che, ci ha accompagnato nelle precedenti quattro domeniche e, che si conclude con quella odierna : Il Signore preferisce le persone che lo accolgono con umiltà e senza la presunzione di avere il Regno di Dio assicurato.

Un altro spunto interessante ci viene dato dalla cacciata dell’invitato, che si presenza senza indossare l’abito nuziale. Certamente nessuno dei presenti, provenendo dalla strada poteva essere adeguatane vestito per essere degno di prendere parte ad un matrimonio(che per di più era del figlio del re). Allora perché quel poveraccio è stato allontanato così in malo modo?
I teologi vedono in questo personaggio colui che vive passivamente il messaggio di Dio e che non si sente coinvolto. Il Signore fa il primo passo verso di noi, ma noi dobbiamo metterci in gioco e creare con Lui un rapporto autentico.

Concludo, oggi sono stato un po’ lungo e, soprattutto nella prima parte un poco chiaro scusatemi!

Nessuno di noi,neanche il più santo, se guardiamo i meriti, sarà degno di essere accanto al Signore, questo potrà succedere soltanto grazie alla misericordia di Dio e alla nostra piena consapevolezza che davanti a Lui non siamo nulla. Gesù non vede l’ora di averci tutti al suo fianco, tocca soltanto a noi metterci in gioco e accettare con gioia il suo invito!

 

 

BUONA SETTIMANA A TUTTI!!!

 

Mercoledì, 8 ottobre 2008

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 8 ottobre 2008
 

 

Cari fratelli e sorelle,

nelle ultime catechesi su san Paolo ho parlato del suo incontro con il Cristo risorto, che ha cambiato profondamente la sua vita, e poi della sua relazione con i dodici Apostoli chiamati da Gesù – particolarmente con Giacomo, Cefa e Giovanni – e della sua relazione con la Chiesa di Gerusalemme. Rimane adesso la questione su che cosa san Paolo ha saputo del Gesù terreno, della sua vita, dei suoi insegnamenti, della sua passione. Prima di entrare in questa questione, può essere utile tener presente che san Paolo stesso distingue due modi di conoscere Gesù e più in generale due modi di conoscere una persona. Scrive nella Seconda Lettera ai Corinzi: “Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così” (5,16). Conoscere “secondo la carne”, in modo carnale, vuol dire conoscere in modo solo esteriore, con criteri esteriori: si può aver visto una persona diverse volte, conoscerne quindi le fattezze ed i diversi dettagli del comportamento: come parla, come si muove, ecc. Tuttavia, pur conoscendo uno in questo modo, non lo si conosce realmente, non si conosce il nucleo della persona. Solo col cuore si conosce veramente una persona. Di fatto, i farisei e i sadducei hanno conosciuto Gesù in modo esteriore, hanno appreso il suo insegnamento, tanti dettagli su di lui, ma non lo hanno conosciuto nella sua verità. C’è una distinzione analoga in una parola di Gesù. Dopo la Trasfigurazione, egli chiede agli apostoli: “Che cosa dice la gente che io sia?” e “Chi dite voi che io sia?”. La gente lo conosce, ma superficialmente; sa diverse cose di lui, ma non lo ha realmente conosciuto. Invece i Dodici, grazie all’amicizia che chiama in causa il cuore, hanno almeno capito nella sostanza e cominciato a conoscere chi è Gesù. Anche oggi esiste questo diverso modo di conoscenza: ci sono persone dotte che conoscono Gesù nei suoi molti dettagli e persone semplici che non hanno conoscenza di questi dettagli, ma lo hanno conosciuto nella sua verità: “il cuore parla al cuore”. E Paolo vuol dire essenzialmente di conoscere Gesù così, col cuore, e di conoscere in questo modo essenzialmente la persona nella sua verità; e poi, in un secondo momento, di conoscerne i dettagli.

Detto questo rimane tuttavia la questione: che cosa ha saputo san Paolo della vita concreta, delle parole, della passione, dei miracoli di Gesù? Sembra accertato che non lo abbia incontrato durante la sua vita terrena. Tramite gli Apostoli e la Chiesa nascente ha sicuramente conosciuto anche dettagli sulla vita terrena di Gesù. Nelle sue Lettere possiamo trovare tre forme di riferimento al Gesù pre-pasquale. In primo luogo, ci sono riferimenti espliciti e diretti. Paolo parla della ascendenza davidica di Gesù (cfr Rm 1,3), conosce l’esistenza di suoi “fratelli” o consanguinei (1 Cor 9,5; Gal 1,19), conosce lo svolgimento dell’Ultima Cena (cfr 1 Cor 11,23), conosce altre parole di Gesù, per esempio circa l’indissolubilità del matrimonio (cfr 1 Cor 7,10 con Mc 10,11-12), circa la necessità che chi annuncia il Vangelo sia mantenuto dalla comunità in quanto l’operaio è degno della sua mercede (cfr 1 Cor 9,14 con Lc 10,7); Paolo conosce le parole pronunciate da Gesù nell’Ultima Cena (cfr 1 Cor 11,24-25 con Lc 22,19-20) e conosce anche la croce di Gesù. Questi sono riferimenti diretti a parole e fatti della vita di Gesù.

In secondo luogo, possiamo intravedere in alcune frasi delle Lettere paoline varie allusioni alla tradizione attestata nei Vangeli sinottici. Per esempio, le parole che leggiamo nella prima Lettera ai Tessalonicesi, secondo cui “come un ladro di notte così verrà il giorno del Signore” (5,2), non si spiegherebbero con un rimando alle profezie veterotestamentarie, poiché il paragone del ladro notturno si trova solo nel Vangelo di Matteo e di Luca, quindi è preso proprio dalla tradizione sinottica. Così, quando leggiamo che “Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto…” (1 Cor 1,27-28), si sente l’eco fedele dell’insegnamento di Gesù sui semplici e sui poveri (cfr Mt 5,3; 11,25; 19,30). Vi sono poi le parole pronunciate da Gesù nel giubilo messianico: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”. Paolo sa – è la sua esperienza missionaria – come siano vere queste parole, che cioè proprio i semplici hanno il cuore aperto alla conoscenza di Gesù. Anche l’accenno all’obbedienza di Gesù “fino alla morte”, che si legge in Fil 2,8 non può non richiamare la totale disponibilità del Gesù terreno a compiere la volontà del Padre suo (cfr Mc 3,35; Gv 4,34) Paolo dunque conosce la passione di Gesù, la sua croce, il modo in cui egli ha vissuto i momenti ultimi della sua vita. La croce di Gesù e la tradizione su questo evento della croce sta al centro del Kerygma paolino. Un altro pilastro della vita di Gesù conosciuto da san Paolo è il Discorso della Montagna, del quale cita alcuni elementi quasi alla lettera, quando scrive ai Romani: “Amatevi gli uni gli altri… Benedite coloro che vi perseguitano… Vivete in pace con tutti… Vinci il male con il bene…”. Quindi nelle sue Lettere c’è un riflesso fedele del Discorso della Montagna (cfr Mt 5-7).

Infine, è possibile riscontrare un terzo modo di presenza delle parole di Gesù nelle Lettere di Paolo: è quando egli opera una forma di trasposizione della tradizione pre-pasquale alla situazione dopo la Pasqua. Un caso tipico è il tema del Regno di Dio. Esso sta sicuramente al centro della predicazione del Gesù storico (cfr Mt 3,2; Mc 1,15; Lc 4,43). In Paolo si può rilevare una trasposizione di questa tematica, perché dopo la risurrezione è evidente che Gesù in persona, il Risorto, è il Regno di Dio. Il Regno pertanto arriva laddove sta arrivando Gesù. E così necessariamente il tema del Regno di Dio, in cui era anticipato il mistero di Gesù, si trasforma in cristologia. Tuttavia, le stesse disposizioni richieste da Gesù per entrare nel Regno di Dio valgono esattamene per Paolo a proposito della giustificazione mediante la fede: tanto l’ingresso nel Regno quanto la giustificazione richiedono un atteggiamento di grande umiltà e disponibilità, libera da presunzioni, per accogliere la grazia di Dio. Per esempio, la parabola del fariseo e del pubblicano (cfr Lc 18,9-14) impartisce un insegnamento che si trova tale e quale in Paolo, quando insiste sulla doverosa esclusione di ogni vanto nei confronti di Dio. Anche le frasi di Gesù sui pubblicani e le prostitute, più disponibili dei farisei ad accogliere il Vangelo (cfr Mt 21,31; Lc 7,36-50), e le sue scelte di condivisione della mensa con loro (cfr Mt 9,10-13; Lc 15,1-2) trovano pieno riscontro nella dottrina di Paolo sull’amore misericordioso di Dio verso i peccatori (cfr Rm 5,8-10; e anche Ef 2,3-5). Così il tema del Regno di Dio viene riproposto in forma nuova, ma sempre in piena fedeltà alla tradizione del Gesù storico.

Un altro esempio di trasformazione fedele del nucleo dottrinale inteso da Gesù si trova nei “titoli” a lui riferiti. Prima di Pasqua egli stesso si qualifica come Figlio dell’uomo; dopo la Pasqua diventa evidente che il Figlio dell’uomo è anche il Figlio di Dio. Pertanto il titolo preferito da Paolo per qualificare Gesù è Kýrios, “Signore” (cfr Fil 2,9-11), che indica la divinità di Gesù. Il Signore Gesù, con questo titolo, appare nella piena luce della risurrezione. Sul Monte degli Ulivi, nel momento dell’estrema angoscia di Gesù (cfr Mc 14,36), i discepoli prima di addormentarsi avevano udito come egli parlava col Padre e lo chiamava “Abbà – Padre”. E’ una parola molto familiare equivalente al nostro “papà”, usata solo da bambini in comunione col loro padre. Fino a quel momento era impensabile che un ebreo usasse una simile parola per rivolgersi a Dio; ma Gesù, essendo vero figlio, in questa ora di intimità parla così e dice: “Abbà, Padre”. Nelle Lettere di san Paolo ai Romani e ai Galati sorprendentemente questa parola “Abbà”, che esprime l’esclusività della figliolanza di Gesù, appare sulla bocca dei battezzati (cfr Rm 8,15; Gal 4,6), perché hanno ricevuto lo “Spirito del Figlio” e adesso portano in sé tale Spirito e possono parlare come Gesù e con Gesù da veri figli al loro Padre, possono dire “Abbà” perché sono divenuti figli nel Figlio.

E finalmente vorrei accennare alla dimensione salvifica della morte di Gesù, quale noi troviamo nel detto evangelico secondo cui “il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45; Mt 20,28). Il riflesso fedele di questa parola di Gesù appare nella dottrina paolina sulla morte di Gesù come riscatto (cfr 1 Cor 6,20), come redenzione (cfr Rm 3,24), come liberazione (cfr Gal 5,1) e come riconciliazione (cfr Rm 5,10; 2 Cor 5,18-20). Qui sta il centro della teologia paolina, che si basa su questa parola di Gesù.

In conclusione, san Paolo non pensa a Gesù in veste di storico, come a una persona del passato. Conosce certamente la grande tradizione sulla vita, le parole, la morte e la risurrezione di Gesù, ma non tratta tutto ciò come cosa del passato; lo propone come realtà del Gesù vivo. Le parole e le azioni di Gesù per Paolo non appartengono al tempo storico, al passato. Gesù vive adesso e parla adesso con noi e vive per noi. Questo è il modo vero di conoscere Gesù e di accogliere la tradizione su di lui. Dobbiamo anche noi imparare a conoscere Gesù non secondo la carne, come una persona del passato, ma come il nostro Signore e Fratello, che è oggi con noi e ci mostra come vivere e come morire.

Domenica, 5 ottobre 2008

BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 5 ottobre 2008

 

Cari fratelli e sorelle!

Questa mattina, con la Santa Messa nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, ha preso inizio la XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si terrà in Vaticano nell’arco di tre settimane ed affronterà il tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa“. Voi conoscete il valore e la funzione di questa particolare assemblea di Vescovi, scelti in modo da rappresentare tutto l’episcopato e convocati per apportare al Successore di Pietro un aiuto più efficace, manifestando e consolidando al tempo stesso la comunione ecclesiale. Si tratta di un organismo importante, istituito nel settembre del 1965 dal mio venerato predecessore il servo di Dio Paolo VI (cfr Lett. ap. motu proprio dataApostolica sollicitudo“), durante l’ultima fase del Concilio Vaticano II, per attuarne una consegna contenuta nel Decreto sul ministero dei Vescovi (cfr Decr. Christus Dominus, 5). Queste sono le finalità del Sinodo dei Vescovi: favorire una stretta unione e collaborazione tra il Papa e i Vescovi di tutto il mondo; fornire informazioni dirette ed esatte circa la situazione e i problemi della Chiesa; favorire l’accordo sulla dottrina e sull’azione pastorale; affrontare tematiche di grande importanza ed attualità. Tali diversi compiti vengono coordinati da una Segreteria permanente, che opera in diretta e immediata dipendenza dall’autorità del Vescovo di Roma.

La dimensione sinodale è costitutiva della Chiesa: essa consiste nel con-venire da ogni popolo e cultura per diventare uno in Cristo e camminare insieme dietro a Lui, che ha detto: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Infatti, la parola greca sýnodos, composta dalla preposizione syn, cioè “con”, e da odòs, che significa “via, strada”, suggerisce l’idea del “fare strada insieme”, ed è proprio questa l’esperienza del Popolo di Dio nella storia della salvezza. Per l’Assemblea sinodale ordinaria, che oggi ha inizio, ho scelto, accogliendo autorevoli pareri in tal senso, il tema della Parola di Dio da approfondire, in prospettiva pastorale, nella vita e nella missione della Chiesa. Ampia è stata la partecipazione alla fase preparatoria da parte delle Chiese particolari di tutto il mondo, che hanno inviato i loro contributi alla Segreteria del Sinodo, la quale a sua volta ha elaborato l’Instrumentum laboris, documento su cui si confronteranno i 253 Padri sinodali: 51 dell’Africa, 62 dell’America, 41 dell’Asia, 90 dell’Europa e 9 dell’Oceania. Ad essi si aggiungono numerosi esperti e uditori, uomini e donne, come pure i “delegati fraterni” delle altre Chiese e Comunità ecclesiali e alcuni invitati speciali.

Cari fratelli e sorelle, vi invito tutti a sostenere i lavori del Sinodo con la vostra preghiera, invocando specialmente la materna intercessione della Vergine Maria, perfetta Discepola della divina Parola.


Dopo l’Angelus

Questa sera si realizzerà una singolare iniziativa, promossa dalla RAI, dal titolo “Bibbia giorno e notte”. Si tratta della lettura continua di tutta la Bibbia, per sette giorni e sei notti, da oggi fino a sabato prossimo 11 ottobre, in diretta televisiva. La sede sarà la Basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme, e i lettori che si susseguiranno saranno quasi 1.200, di 50 Paesi diversi, in parte scelti con criterio ecumenico e molti che si sono liberamente iscritti. Questo evento ben si affianca al Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio, e io stesso darò avvio alla lettura del primo capitolo del Libro della Genesi, che sarà trasmessa questa sera alle ore 19 sul primo canale della RAI. La Parola di Dio potrà così entrare nelle case per accompagnarsi alla vita delle famiglie e delle singole persone: un seme che, se bene accolto, non mancherà di portare frutti abbondanti.