Io credo in Dio: il Padre onnipotente

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 30 gennaio 2013

Io credo in Dio: il Padre onnipotente

Cari fratelli e sorelle,

nella catechesi di mercoledì scorso ci siamo soffermati sulle parole iniziali del Credo: “Io credo in Dio”. Ma la professione di fede specifica questa affermazione: Dio è il Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra. Vorrei dunque riflettere ora con voi sulla prima, fondamentale definizione di Dio che il Credo ci presenta: Egli è Padre.

Non è sempre facile oggi parlare di paternità. Soprattutto nel mondo occidentale, le famiglie disgregate, gli impegni di lavoro sempre più assorbenti, le preoccupazioni e spesso la fatica di far quadrare i bilanci familiari, l’invasione distraente dei mass media all’interno del vivere quotidiano sono alcuni tra i molti fattori che possono impedire un sereno e costruttivo rapporto tra padri e figli. La comunicazione si fa a volte difficile, la fiducia viene meno e il rapporto con la figura paterna può diventare problematico; e problematico diventa così anche immaginare Dio come un padre, non avendo modelli adeguati di riferimento. Per chi ha fatto esperienza di un padre troppo autoritario ed inflessibile, o indifferente e poco affettuoso, o addirittura assente, non è facile pensare con serenità a Dio come Padre e abbandonarsi a Lui con fiducia.

Ma la rivelazione biblica aiuta a superare queste difficoltà parlandoci di un Dio che ci mostra che cosa significhi veramente essere “padre”; ed è soprattutto il Vangelo che ci rivela questo volto di Dio come Padre che ama fino al dono del proprio Figlio per la salvezza dell’umanità. Il riferimento alla figura paterna aiuta dunque a comprendere qualcosa dell’amore di Dio che però rimane infinitamente più grande, più fedele, più totale di quello di qualsiasi uomo. «Chi di voi, – dice Gesù per mostrare ai discepoli il volto del Padre – al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono» (Mt 7,9-11; cfr Lc 11,11-13). Dio ci è Padre perché ci ha benedetti e scelti prima della creazione del mondo (cfr Ef 1,3-6), ci ha resi realmente suoi figli in Gesù (cfr 1Gv 3,1). E, come Padre, Dio accompagna con amore la nostra esistenza, donandoci la sua Parola, il suo insegnamento, la sua grazia, il suo Spirito.

Egli – come rivela Gesù – è il Padre che nutre gli uccelli del cielo senza che essi debbano seminare e mietere, e riveste di colori meravigliosi i fiori dei campi, con vesti più belle di quelle del re Salomone (cfr Mt 6,26-32; Lc 12,24-28); e noi – aggiunge Gesù – valiamo ben più dei fiori e degli uccelli del cielo! E se Egli è così buono da far «sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e … piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45), potremo sempre, senza paura e con totale fiducia, affidarci al suo perdono di Padre quando sbagliamo strada. Dio è un Padre buono che accoglie e abbraccia il figlio perduto e pentito (cfr Lc 15,11ss), dona gratuitamente a coloro che chiedono (cfr Mt 18,19; Mc 11,24; Gv 16,23) e offre il pane del cielo e l’acqua viva che fa vivere in eterno (cfr Gv 6,32.51.58).

Perciò l’orante del Salmo 27, circondato dai nemici, assediato da malvagi e calunniatori, mentre cerca aiuto dal Signore e lo invoca, può dare la sua testimonianza piena di fede affermando: «Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto» (v. 10). Dio è un Padre che non abbandona mai i suoi figli, un Padre amorevole che sorregge, aiuta, accoglie, perdona, salva, con una fedeltà che sorpassa immensamente quella degli uomini, per aprirsi a dimensioni di eternità. «Perché il suo amore è per sempre», come continua a ripetere in modo litanico, ad ogni versetto, il Salmo 136 ripercorrendo la storia della salvezza. L’amore di Dio Padre non viene mai meno, non si stanca di noi; è amore che dona fino all’estremo, fino a sacrificio del Figlio. La fede ci dona questa certezza, che diventa una roccia sicura nella costruzione della nostra vita: noi possiamo affrontare tutti i momenti di difficoltà e di pericolo, l’esperienza del buio della crisi e del tempo del dolore, sorretti dalla fiducia che Dio non ci lascia soli ed è sempre vicino, per salvarci e portarci alla vita eterna.

È nel Signore Gesù che si mostra in pienezza il volto benevolo del Padre che è nei cieli. È conoscendo Lui che possiamo conoscere anche il Padre (cfr Gv 8,19; 14,7), è vedendo Lui che possiamo vedere il Padre, perché Egli è nel Padre e il Padre è in Lui (cfr Gv 14,9.11). Egli è «immagine del Dio invisibile» come lo definisce l’inno della Lettera ai Colossesi, «primogenito di tutta la creazione… primogenito di quelli che risorgono dai morti»,  «per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati» e la riconciliazione di tutte le cose, «avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (cfr Col 1,13-20).

La fede in Dio Padre chiede di credere nel Figlio, sotto l’azione dello Spirito, riconoscendo nella Croce che salva lo svelarsi definitivo dell’amore divino. Dio ci è Padre dandoci il suo Figlio; Dio ci è Padre perdonando il nostro peccato e portandoci alla gioia della vita risorta; Dio ci è Padre donandoci lo Spirito che ci rende figli e ci permette di chiamarlo, in verità, «Abbà, Padre» (cfr Rm 8,15). Perciò Gesù, insegnandoci a pregare, ci invita a dire “Padre nostro” (Mt 6,9-13; cfr Lc 11,2-4).

La paternità di Dio, allora, è amore infinito, tenerezza che si china su di noi, figli deboli, bisognosi di tutto. Il Salmo 103, il grande canto della misericordia divina, proclama: «Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso coloro che lo temono, perché egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere» (vv. 13-14). E’ proprio la nostra piccolezza, la nostra debole natura umana, la nostra fragilità che diventa appello alla misericordia del Signore perché manifesti la sua grandezza e tenerezza di Padre aiutandoci, perdonandoci e salvandoci.

E Dio risponde al nostro appello, inviando il suo Figlio, che muore e risorge per noi; entra nella nostra fragilità e opera ciò che da solo l’uomo non avrebbe mai potuto operare: prende su di Sé il peccato del mondo, come agnello innocente, e ci riapre la strada verso la comunione con Dio, ci rende veri figli di Dio. È lì, nel Mistero pasquale, che si rivela in tutta la sua luminosità il volto definitivo del Padre. Ed è lì, sulla Croce gloriosa, che avviene la manifestazione piena della grandezza di Dio come “Padre onnipotente”.

Ma potremmo chiederci: come è possibile pensare a un Dio onnipotente guardando alla Croce di Cristo? A questo potere del male, che arriva fino al punto di uccidere il Figlio di Dio? Noi vorremmo certamente un’onnipotenza divina secondo i nostri schemi mentali e i nostri desideri: un Dio “onnipotente” che risolva i problemi, che intervenga per evitarci le difficoltà, che vinca le potenze avverse, cambi il corso degli eventi e annulli il dolore. Così, oggi diversi teologi dicono che Dio non può essere onnipotente altrimenti non potrebbe esserci così tanta sofferenza, tanto male nel mondo. In realtà, davanti al male e alla sofferenza, per molti, per noi, diventa problematico, difficile, credere in un Dio Padre e crederlo onnipotente; alcuni cercano rifugio in idoli, cedendo alla tentazione di trovare risposta in una presunta onnipotenza “magica” e nelle sue illusorie promesse.

Ma la fede in Dio onnipotente ci spinge a percorrere sentieri ben differenti: imparare a conoscere che il pensiero di Dio è diverso dal nostro, che le vie di Dio sono diverse dalle nostre (cfr Is 55,8) e anche la sua onnipotenza è diversa: non si esprime come forza automatica o arbitraria, ma è segnata da una libertà amorosa e paterna. In realtà, Dio, creando creature libere, dando libertà, ha rinunciato a una parte del suo potere, lasciando il potere della nostra libertà. Così Egli ama e rispetta la risposta libera di amore alla sua chiamata. Come Padre, Dio desidera che noi diventiamo suoi figli e viviamo come tali nel suo Figlio, in comunione, in piena familiarità con Lui. La sua onnipotenza non si esprime nella violenza, non si esprime nella distruzione di ogni potere avverso come noi desideriamo, ma si esprime nell’amore, nella misericordia, nel perdono, nell’accettare la nostra libertà e nell’instancabile appello alla conversione del cuore, in un atteggiamento solo apparentemente debole – Dio sembra debole, se pensiamo a Gesù Cristo che prega, che si fa uccidere. Un atteggiamento apparentemente debole, fatto di pazienza, di mitezza e di amore, dimostra che questo è il vero modo di essere potente! Questa è la potenza di Dio! E questa potenza vincerà! Il saggio del Libro della Sapienza così si rivolge a Dio: «Hai compassione di tutti, perché tutto puoi; chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento. Tu infatti ami tutte le cose che esistono… Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita» (11,23-24a.26).

Solo chi è davvero potente può sopportare il male e mostrarsi compassionevole; solo chi è davvero potente può esercitare pienamente la forza dell’amore. E Dio, a cui appartengono tutte le cose perché tutto è stato fatto da Lui, rivela la sua forza amando tutto e tutti, in una paziente attesa della conversione di noi uomini, che desidera avere come figli. Dio aspetta la nostra conversione. L’amore onnipotente di Dio non conosce limiti, tanto che «non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi» (Rm 8,32). L’onnipotenza dell’amore non è quella del potere del mondo, ma è quella del dono totale, e Gesù, il Figlio di Dio, rivela al mondo la vera onnipotenza del Padre dando la vita per noi peccatori. Ecco la vera, autentica e perfetta potenza divina: rispondere al male non con il male ma con il bene, agli insulti con il perdono, all’odio omicida con l’amore che fa vivere. Allora il male è davvero vinto, perché lavato dall’amore di Dio; allora la morte è definitivamente sconfitta perché trasformata in dono della vita. Dio Padre risuscita il Figlio: la morte, la grande nemica (cfr 1 Cor 15,26), è inghiottita e privata del suo veleno (cfr 1 Cor 15,54-55), e noi, liberati dal peccato, possiamo accedere alla nostra realtà di figli di Dio.

Quindi, quando diciamo “Io credo in Dio Padre onnipotente”, noi esprimiamo la nostra fede nella potenza dell’amore di Dio che nel suo Figlio morto e risorto sconfigge l’odio, il male, il peccato e ci apre alla vita eterna, quella dei figli che desiderano essere per sempre nella “Casa del Padre”. Dire «Io credo in Dio Padre onnipotente», nella sua potenza, nel suo modo di essere Padre, è sempre un atto di fede, di conversione, di trasformazione del nostro pensiero, di tutto il nostro affetto, di tutto il nostro modo di vivere.

Cari fratelli e sorelle, chiediamo al Signore di sostenere la nostra fede, di aiutarci a trovare veramente la fede e di darci la forza di annunciare Cristo crocifisso e risorto e di testimoniarlo nell’amore a Dio e al prossimo. E Dio ci conceda di accogliere il dono della nostra filiazione, per vivere in pienezza le realtà del Credo, nell’abbandono fiducioso all’amore del Padre e alla sua misericordiosa onnipotenza che è la vera onnipotenza e salva.

Saluti:

Je salue les pèlerins francophones, en particulier les élèves venus de France et de Belgique, et les Travailleuses Missionnaires. Notre Dieu est un Père plein d’amour. Je vous invite à vivre vos moments de difficultés et de crise, assurés qu’il ne vous laissera jamais seuls ! Puissiez-vous aussi le rencontrer souvent dans le sacrément de la réconciliation où il vous accueille toujours et vous fait expérimenter sa toute-puissance ! Bon pèlerinage !

I offer a warm welcome to the priests taking part in the Institute for Continuing Theological Education at the Pontifical North American College. Upon all the English-speaking visitors present at today’s Audience, including those from the Republic of Korea, Canada and the United States of America, I invoke God’s blessings of joy and peace.

Gerne heiße ich alle Besucher und Pilger deutscher Sprache willkommen. Bitten wir den Herrn, daß er uns im Glauben stärkt, im Glauben an seine Allmacht und an seine Liebe, daß wir so aus der Freiheit der Kinder leben im Vertrauen auf seine Liebe und sein Erbarmen, das uns das Heil bringt. Von Herzen segne ich euch alle.

Saludo a los fieles de lengua española provenientes de España, México, Chile y demás países latinoamericanos. Invito a todos a ser constantes en la fe, dando testimonio de Cristo, y a vivir en plenitud el Credo, abandonándonos confiadamente a Dios Padre y a su misericordia omnipotente, que salva. Muchas gracias.

Queridos peregrinos de língua portuguesa, sede bem-vindos! Saúdo de modo particular os brasileiros vindos do Rio de Janeiro e de Brasília. Fortalecidos com a certeza de que sois filhos de Deus, anunciai Cristo crucificado e ressuscitado a todas as pessoas com quem tenhais contato, dando testemunho d’Ele através do amor a Deus e ao próximo. E desça a minha bênção sobre vós, vossas famílias e comunidades.

Saluto in lingua araba:

البَابَا يُصْلِي مِنْ أَجَلِ جَمِيعِ النَّاطِقينَ بِاللُّغَةِ العَرَبِيَّةِ. لِيُبَارِك الرَّبّ جَمِيعَكُمْ.

Traduzione italiana:

Il Papa prega per tutte le persone di lingua araba. Dio vi benedica tutti.

Saluto in lingua polacca:

Pozdrawiam przybyłych na audiencję pielgrzymów polskich. Rok Wiary jest szczególną okazją, by uświadomić sobie, że Bóg jest naszym Ojcem. Ta prawda czyni nas radosnymi świadkami Ewangelii! Pamiętajmy o niej także w chwilach naszych życiowych doświadczeń, kryzysów i cierpienia. Bóg jest zawsze z nami, prowadzi nas i pragnie naszego dobra. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi venuti a quest’udienza. L’Anno della fede è un’occasione particolare per rendersi consapevoli che Dio è nostro Padre. Questa verità ci renda testimoni gioiosi del Vangelo! Ricordiamoci di essa anche nei momenti di prova, di crisi e di sofferenza che la vita ci porta. Dio è sempre con noi, ci guida e desidera il nostro bene. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua slovacca:

Zo srdca pozdravujem slovenských pútnikov, osobitne z Oščadnice, Bánoviec nad Bebravou a z Univerzity Komenského z Bratislavy.
Bratia a sestry, prajem vám, aby svetlo Evanjelia osvecovalo všetky kroky vášho života a ochotne udeľujem Apoštolské Požehnanie každému z vás a vašim drahým vo vlasti.
Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:

Saluto di cuore i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti da Oščadnica, Bánovce nad Bebravou e dall’Università Komenský di Bratislava.
Fratelli e sorelle, mentre vi auguro che la luce del Vangelo illumini tutti i passi della vostra vita, volentieri imparto la Benedizione Apostolica a ciascuno di voi ed ai vostri cari in Patria.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ceca:

Srdečně zdravím poutníky z České republiky. S důvěrou se odevzdejte lásce Boha Otce a jeho milosrdné spasitelné moci.

Traduzione italiana:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini della Repubblica Ceca. Vivete nell’abbandono fiducioso all’amore di Dio Padre e alla sua misericordiosa onnipotenza che salva.

* * *

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Vescovi amici del Movimento dei Focolari. Cari Confratelli, insieme con voi saluto anche quanti parteciperanno agli incontri organizzati in diverse regioni del mondo. Assicurando la mia preghiera, auspico che il carisma dell’unità a voi particolarmente caro, possa sostenervi e animarvi nel vostro ministero apostolico. E saluto i fedeli dell’Arcidiocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsiconuovo, accompagnati dal loro Pastore Mons. Agostino Superbo. Cari amici, continuate a dedicare ogni sforzo perché sia curata, ugualmente nelle città come nei centri minori, una solida istruzione religiosa, perché tutti siano preparati a ricevere con frutto i Sacramenti, indispensabile nutrimento della crescita nella fede. La presenza a questo incontro delle Autorità civili della Basilicata, alle quali rivolgo un deferente saluto, mi offre l’opportunità di esprimere la mia viva riconoscenza a quanti si sono prodigati per l’allestimento del suggestivo presepio, collocato in questa Piazza, che è stato ammirato dai numerosi pellegrini, anche da me con grande gioia, quale espressione dell’arte lucana.

Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Ricorre domani la memoria liturgica di san Giovanni Bosco, sacerdote ed educatore. Guardate a lui, cari giovani, come a un autentico maestro di vita. Voi, cari ammalati, apprendete dalla sua esperienza spirituale a confidare in ogni circostanza in Cristo crocifisso. E voi, cari sposi novelli, ricorrete alla sua intercessione per vivere con impegno generoso la vostra missione di sposi. Grazie.

“Io credo in Dio”

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 23 gennaio 2013

“Io credo in Dio”

Cari fratelli e sorelle,

in quest’Anno della fede, vorrei iniziare oggi a riflettere con voi sul Credo, cioè sulla solenne professione di fede che accompagna la nostra vita di credenti. Il Credo comincia così: “Io credo in Dio”. E’ un’affermazione fondamentale, apparentemente semplice nella sua essenzialità, ma che apre all’infinito mondo del rapporto con il Signore e con il suo mistero. Credere in Dio implica adesione a Lui, accoglienza della sua Parola e obbedienza gioiosa alla sua rivelazione. Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, «la fede è un atto personale: è la libera risposta dell’uomo all’iniziativa di Dio che si rivela» (n. 166). Poter dire di credere in Dio è dunque insieme un dono – Dio si rivela, va incontro a noi – e un impegno, è grazia divina e responsabilità umana, in un’esperienza di dialogo con Dio che, per amore, «parla agli uomini come ad amici» (Dei Verbum, 2), parla a noi affinché, nella fede e con la fede, possiamo entrare in comunione con Lui.

Dove possiamo ascoltare Dio e la sua parola? Fondamentale è la Sacra Scrittura, in cui la Parola di Dio si fa udibile per noi e alimenta la nostra vita di “amici” di Dio. Tutta la Bibbia racconta il rivelarsi di Dio all’umanità; tutta la Bibbia parla di fede e ci insegna la fede narrando una storia in cui Dio porta avanti il suo progetto di redenzione e si fa vicino a noi uomini, attraverso tante luminose figure di persone che credono in Lui e a Lui si affidano, fino alla pienezza della rivelazione nel Signore Gesù.

Molto bello, a questo riguardo, è il capitolo 11 della Lettera agli Ebrei, che abbiamo appena sentito. Qui si parla della fede e si mettono in luce le grandi figure bibliche che l’hanno vissuta, diventando modello per tutti i credenti. Dice il testo nel primo versetto: «La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (11,1). Gli occhi della fede sono dunque capaci di vedere l’invisibile e il cuore del credente può sperare oltre ogni speranza, proprio come Abramo, di cui Paolo dice nella Lettera ai Romani che «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (4,18).

Ed è proprio su Abramo, che vorrei soffermarmi e soffermare la  nostra attenzione, perché è lui la prima grande figura di riferimento per parlare di fede in Dio: Abramo il grande patriarca, modello esemplare, padre di tutti i credenti (cfr Rm 4,11-12). La Lettera agli Ebrei lo presenta così: «Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso» (11,8-10).

L’autore della Lettera agli Ebrei fa qui riferimento alla chiamata di Abramo, narrata nel Libro della Genesi, il primo libro della Bibbia. Che cosa chiede Dio a questo patriarca? Gli chiede di partire abbandonando la propria terra per andare verso il paese che gli mostrerà, «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Gen 12,1). Come avremmo risposto noi a un invito simile? Si tratta, infatti, di una partenza al buio, senza sapere dove Dio lo condurrà; è un cammino che chiede un’obbedienza e una fiducia radicali, a cui solo la fede consente di accedere. Ma il buio dell’ignoto – dove Abramo deve andare – è rischiarato dalla luce di una promessa; Dio aggiunge al comando una parola rassicurante che apre davanti ad Abramo un futuro di vita in pienezza: «Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome… e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,2.3).

La benedizione, nella Sacra Scrittura, è collegata primariamente al dono della vita che viene da Dio e si manifesta innanzitutto nella fecondità, in una vita che si moltiplica, passando di generazione in generazione. E alla benedizione è collegata anche l’esperienza del possesso di una terra, di un luogo stabile in cui vivere e crescere in libertà e sicurezza, temendo Dio e costruendo una società di uomini fedeli all’Alleanza, «regno di sacerdoti e nazione santa» (cfr. Es 19,6).

Perciò Abramo, nel progetto divino, è destinato a diventare «padre di una moltitudine di popoli» (Gen 17,5; cfr Rm 4,17-18) e ad entrare in una nuova terra dove abitare. Eppure Sara, sua moglie, è sterile, non può avere figli; e il paese verso cui Dio lo conduce è lontano dalla sua terra d’origine, è già abitato da altre popolazioni, e non gli apparterrà mai veramente. Il narratore biblico lo sottolinea, pur con molta discrezione: quando Abramo giunge nel luogo della promessa di Dio: «nel paese si trovavano allora i Cananei» (Gen 12,6). La terra che Dio dona ad Abramo non gli appartiene, egli è uno straniero e tale resterà sempre, con tutto ciò che questo comporta: non avere mire di possesso, sentire sempre la propria povertà, vedere tutto come dono. Questa è anche la condizione spirituale di chi accetta di seguire il Signore, di chi decide di partire accogliendo la sua chiamata, sotto il segno della sua invisibile ma potente benedizione. E Abramo, “padre dei credenti”, accetta questa chiamata, nella fede. Scrive san Paolo nella Lettera ai Romani: «Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza. Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo – aveva circa cento anni – e morto il seno di Sara. Di fronte alla promessa di Dio non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento»(Rm 4,18-21).

La fede conduce Abramo a percorrere un cammino paradossale. Egli sarà benedetto ma senza i segni visibili della benedizione: riceve la promessa di diventare grande popolo, ma con una vita segnata dalla sterilità della moglie Sara; viene condotto in una nuova patria ma vi dovrà vivere come straniero; e l’unico possesso della terra che gli sarà consentito sarà quello di un pezzo di terreno per seppellirvi Sara (cfr Gen 23,1-20). Abramo è benedetto perché, nella fede, sa discernere la benedizione divina andando al di là delle apparenze, confidando nella presenza di Dio anche quando le sue vie gli appaiono misteriose.

Che cosa significa questo per noi? Quando affermiamo: “Io credo in Dio”, diciamo come Abramo: “Mi fido di Te; mi affido a Te, Signore”, ma non come a Qualcuno a cui ricorrere solo nei momenti di difficoltà o a cui dedicare qualche momento della giornata o della settimana. Dire “Io credo in Dio” significa fondare su di Lui la mia vita, lasciare che la sua Parola la orienti ogni giorno, nelle scelte concrete, senza paura di perdere qualcosa di me stesso. Quando, nel Rito del Battesimo, per tre volte viene richiesto: “Credete?” in Dio, in Gesù Cristo, nello Spirito Santo, la santa Chiesa Cattolica e le altre verità di fede, la triplice risposta è al singolare: “Credo”, perché è la mia esistenza personale che deve ricevere una svolta con il dono della fede, è la mia esistenza che deve cambiare, convertirsi.  Ogni volta che partecipiamo ad un Battesimo dovremmo chiederci come viviamo quotidianamente il grande dono della fede.

Abramo, il credente, ci insegna la fede; e, da straniero sulla terra, ci indica la vera patria. La fede ci rende pellegrini sulla terra, inseriti nel mondo e nella storia, ma in cammino verso la patria celeste. Credere in Dio ci rende dunque portatori di valori che spesso non coincidono con la moda e l’opinione del momento, ci chiede di adottare criteri e assumere comportamenti che non appartengono al comune modo di pensare. Il cristiano non deve avere timore di andare “controcorrente” per vivere la propria fede, resistendo alla tentazione di “uniformarsi”. In tante nostre società Dio è diventato il “grande assente” e al suo posto vi sono molti idoli, diversissimi idoli e soprattutto il possesso e l’”io” autonomo. E anche i notevoli e positivi progressi della scienza e della tecnica hanno indotto nell’uomo un’illusione di onnipotenza e di autosufficienza, e un crescente egocentrismo ha creato non pochi squilibri all’interno dei rapporti interpersonali e dei comportamenti sociali.

Eppure, la sete di Dio (cfr. Sal 63,2) non si è estinta e il messaggio evangelico continua a risuonare attraverso le parole e le opere di tanti uomini e donne di fede. Abramo, il padre dei credenti, continua ad essere padre di molti figli che accettano di camminare sulle sue orme e si mettono in cammino, in obbedienza alla vocazione divina, confidando nella presenza benevola del Signore e accogliendo la sua benedizione per farsi benedizione per tutti. È il mondo benedetto della fede a cui tutti siamo chiamati, per camminare senza paura seguendo il Signore Gesù Cristo. Ed è un cammino talvolta difficile, che conosce anche la prova e la morte, ma che apre alla vita, in una trasformazione radicale della realtà che solo gli occhi della fede sono in grado di vedere e gustare in pienezza.

Affermare “Io credo in Dio” ci spinge, allora, a partire, ad uscire continuamente da noi stessi, proprio come Abramo, per portare nella realtà quotidiana in cui viviamo la certezza che ci viene dalla fede: la certezza, cioè, della presenza di Dio nella storia, anche oggi; una presenza che porta vita e salvezza, e ci apre ad un futuro con Lui per una pienezza di vita che non conoscerà mai tramonto.

Saluti:

Je salue avec joie les pèlerins francophones, surtout les jeunes ! La foi est un don de Dieu et un engagement personnel. Elle insère le chrétien dans le monde et dans l’histoire. Fiers de votre foi, n’ayez pas peur d’aller à contre-courant ! Résistez à la tentation du conformisme ! Apportez Dieu là où existent les idoles, l’égocentrisme et l’illusion de la toute-puissance de l’homme.
Bon pèlerinage !

During this Week of Prayer for Christian Unity, I offer a warm welcome to the faculty and students of the Bossey Graduate School of Ecumenical Studies, with cordial good wishes for their studies. I also greet the military chaplains from the United Kingdom recently returned from Afghanistan. Upon all the English-speaking visitors present at today’s Audience, including the pilgrim and student groups from the United States, I invoke God’s blessings of joy and peace.

Von Herzen grüße ich die deutschsprachigen Pilger und Besucher. Besonders grüße ich natürlich die Delegation aus Hufschlag, wo ich meine schönen Jugendjahre verbracht habe. Danke für euren Besuch! Auch in unserem Leben gibt es immer wieder, wir wissen es, Prüfungen. Wenn wir dann sagen: Ich glaube an Gott!, dürfen wir zugleich mit Abraham sagen, Herr, ich vertraue dir, ich vertraue mich dir an! Durch den Glauben gründen wir unser Leben auf Gott. Der Herr selbst wird uns die Gnade schenken, ohne Angst, getreu und gerecht auf seinem Weg zu gehen. Danke.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos provenientes de España, México y los demás países latinoamericanos. Invito a todos a no tener miedo de seguir al Señor, olvidándonos de nosotros mismos y confiando en la bendición de Dios. Muchas gracias.

Amados peregrinos por rotas e caminhos diversos, mas hoje com paragem comum neste Encontro com o Papa que vos dá as boas-vindas e saúda, especialmente à tripulação da fragata «Liberal» do Brasil e à delegação de várias entidades eclesiais e civis comprometidas na Jornada Mundial da Juventude no Rio de Janeiro e guiadas pelo Arcebispo local, Dom Orani. Só de mãos dadas, podereis realizar a travessia… Agradecido pela visita, dou-vos a minha Bênção, extensiva às vossas famílias.

Saluto in lingua araba:

البَابَا يُصْلِي مِنْ أَجَلِ جَمِيعِ النَّاطِقينَ بِاللُّغَةِ العَرَبِيَّةِ. لِيُبَارِك الرَّبّ جَمِيعَكُمْ.

Traduzione italiana:

Il Papa prega per tutte le persone di lingua araba. Dio vi benedica tutti.

Saluto in lingua polacca:

Witam serdecznie pielgrzymów polskich, a szczególnie Siostry Elżbietanki: Matkę Generalną, Zarząd oraz Ekonomki prowincjalne i regionalne. W piątek, w święto Nawrócenia Świętego Pawła zakończymy Tydzień Modlitw o Jedność Chrześcijan. Niech modlitwa ekumeniczna wiernych różnych kościołów i wspólnot wyznaniowych owocuje w Roku Wiary pogłębieniem dialogu, poszukiwaniem prawdy, poznaniem tradycji i gestami pojednania. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i pellegrini Polacchi, in particolare le Suore di Santa Elisabetta, con la Madre Generale, il Consiglio e le Econome provinciali e regionali. Venerdì prossimo, con la Festa della Conversione di San Paolo chiuderemo la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani. La preghiera ecumenica dei fedeli delle diverse chiese e comunità cristiane fruttifichi nell’Anno della fede con l’approfondimento del dialogo, della ricerca della verità, del riconoscimento delle tradizioni, e con gesti di riconciliazione. Sia lodato Gesù Cristo.

APPELLO

Seguo con preoccupazione le notizie giunte dall’Indonesia, dove una grande alluvione ha devastato la capitale Giacarta, provocando vittime, migliaia di sfollati e ingenti danni. Desidero esprimere la mia vicinanza alle popolazioni colpite da questa calamità naturale, assicurando la mia preghiera e incoraggiando alla solidarietà affinché a nessuno manchi il necessario soccorso.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto le religiose, gli studenti e i gruppi parrocchiali. Saluto in particolare i fedeli di Frazzanò, accompagnati dal Vescovo di Patti, Mons. Ignazio Zambito, in occasione dell’Anno Giubilare per l’anniversario della morte del monaco San Lorenzo, vostro patrono. A tutti l’auspicio che la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani stimoli in ogni comunità l’impegno a chiedere con insistenza al Signore il dono dell’unità e a vivere la comunione fraterna.

Infine, un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Venerdì prossimo celebreremo la Festa della Conversione di San Paolo. Cari giovani, l’Apostolo Paolo sia per voi modello di integrità di vita e di radicalità nella fede. Cari ammalati, offrite le vostre sofferenze per la causa dell’unità della Chiesa di Cristo. E voi, cari sposi novelli, ispiratevi alla vita dell’Apostolo delle genti, riconoscendo il primato a Dio e al suo amore nella vostra vita familiare. Grazie e auguri a tutti voi.

Gesù Cristo “mediatore e pienezza di tutta la Rivelazione”

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 16 gennaio 2013

Gesù Cristo “mediatore e pienezza di tutta la Rivelazione”

Cari fratelli e sorelle,

il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla divina Rivelazione Dei Verbum, afferma che l’intima verità di tutta la Rivelazione di Dio risplende per noi «in Cristo, che è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la Rivelazione» (n. 2). L’Antico Testamento ci narra come Dio, dopo la creazione, nonostante il peccato originale, nonostante l’arroganza dell’uomo di volersi mettere al posto del suo Creatore, offre di nuovo la possibilità della sua amicizia, soprattutto attraverso l’alleanza con Abramo e il cammino di un piccolo popolo, quello di Israele, che Egli sceglie non con criteri di potenza terrena, ma semplicemente per amore. E’ una scelta che rimane un mistero e rivela lo stile di Dio che chiama alcuni non per escludere altri, ma perché facciano da ponte nel condurre a Lui: elezione è sempre elezione per l’altro. Nella storia del popolo di Israele possiamo ripercorrere le tappe di un lungo cammino in cui Dio si fa conoscere, si rivela, entra nella storia con parole e con azioni. Per questa opera Egli si serve di mediatori, come Mosè, i Profeti, i Giudici, che comunicano al popolo la sua volontà, ricordano l’esigenza di fedeltà all’alleanza e tengono desta l’attesa della realizzazione piena e definitiva delle promesse divine.

Ed è proprio la realizzazione di queste promesse che abbiamo contemplato nel Santo Natale: la Rivelazione di Dio giunge al suo culmine, alla sua pienezza. In Gesù di Nazaret, Dio visita realmente il suo popolo, visita l’umanità in un modo che va oltre ogni attesa: manda il suo Figlio Unigenito; si fa uomo Dio stesso. Gesù non ci dice qualcosa di Dio, non parla semplicemente del Padre, ma è rivelazione di Dio, perché è Dio, e ci rivela così il volto di Dio. Nel Prologo del suo Vangelo, san Giovanni scrive: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18).

Vorrei soffermarmi su questo “rivelare il volto di Dio”. A tale riguardo, san Giovanni, nel suo Vangelo, ci riporta un fatto significativo che abbiamo ascoltato ora. Avvicinandosi la Passione, Gesù rassicura i suoi discepoli invitandoli a non avere timore e ad avere fede; poi instaura un dialogo con loro nel quale parla di Dio Padre (cfr Gv 14,2-9). Ad un certo punto, l’apostolo Filippo chiede a Gesù: «Signore, mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14,8). Filippo è molto pratico e concreto, dice anche quanto noi vogliamo dire: “vogliamo vedere, mostraci il Padre”, chiede di “vedere” il Padre, di vedere il suo volto. La risposta di Gesù è risposta non solo a Filippo, ma anche a noi e ci introduce nel cuore della fede cristologica; il Signore afferma: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). In questa espressione si racchiude sinteticamente la novità del Nuovo Testamento, quella novità che è apparsa nella grotta di Betlemme: Dio si può vedere, Dio ha manifestato il suo volto, è visibile in Gesù Cristo.

In tutto l’Antico Testamento è ben presente il tema della “ricerca del volto di Dio”, il desiderio di conoscere questo volto, il desiderio di vedere Dio come è, tanto che il termine ebraico pānîm, che significa “volto”, vi ricorre ben 400 volte, e 100 di queste sono riferite a Dio: 100 volte ci si riferisce a Dio, si vuol vedere il volto di Dio. Eppure la religione ebraica proibisce del tutto le immagini, perché Dio non si può rappresentare, come invece facevano i popoli vicini con l’adorazione degli idoli; quindi, con questa proibizione di immagini, l’Antico Testamento sembra escludere totalmente il “vedere” dal culto e dalla pietà. Che cosa significa allora, per il pio israelita, tuttavia cercare il volto di Dio, nella consapevolezza che non può esserci alcuna immagine? La domanda è importante: da una parte si vuole dire che Dio non si può ridurre ad un oggetto, come un’immagine che si prende in mano, ma neppure si può mettere qualcosa al posto di Dio; dall’altra parte, però, si afferma che Dio ha un volto, cioè è un «Tu» che può entrare in relazione, che non è chiuso nel suo Cielo a guardare dall’alto l’umanità. Dio è certamente sopra ogni cosa, ma si rivolge a noi, ci ascolta, ci vede, parla, stringe alleanza, è capace di amare. La storia della salvezza è la storia di Dio con l’umanità, è la storia di questo rapporto di Dio che si rivela progressivamente all’uomo, che fa conoscere se stesso, il suo volto.

Proprio all’inizio dell’anno, il 1° gennaio, abbiamo ascoltato, nella liturgia, la bellissima preghiera di benedizione sul popolo: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26). Lo splendore del volto divino è la fonte della vita, è ciò che permette di vedere la realtà; la luce del suo volto è la guida della vita. Nell’Antico Testamento c’è una figura a cui è collegato in modo del tutto speciale il tema del “volto di Dio”; si tratta di Mosé, colui che Dio sceglie per liberare il popolo dalla schiavitù d’Egitto, donargli la Legge dell’alleanza e guidarlo alla Terra promessa. Ebbene, nel capitolo 33 del Libro dell’Esodo, si dice che Mosé aveva un rapporto stretto e confidenziale con Dio: «Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico» (v. 11). In forza di questa confidenza, Mosè chiede a Dio: «Mostrami la tua gloria!», e la risposta di Dio è chiara: «Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome… Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo… Ecco un luogo vicino a me… Tu vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere» (vv. 18-23). Da un lato, allora, c’è il dialogo faccia a faccia come tra amici, ma dall’altro c’è l’impossibilità, in questa vita, di vedere il volto di Dio, che rimane nascosto; la visione è limitata. I Padri dicono che queste parole, “tu puoi solo vedere le mie spalle”, vogliono dire: tu puoi solo seguire Cristo e seguendo vedi dalle spalle il mistero di Dio; Dio si può seguire vedendo le sue spalle.

Qualcosa di completamente nuovo avviene, però, con l’Incarnazione. La ricerca del volto di Dio riceve una svolta inimmaginabile, perché questo volto si può ora vedere: è quello di Gesù, del Figlio di Dio che si fa uomo. In Lui trova compimento il cammino di rivelazione di Dio iniziato con la chiamata di Abramo, Lui è la pienezza di questa rivelazione perché è il Figlio di Dio, è insieme «mediatore e pienezza di tutta la Rivelazione” (Cost. dogm. Dei Verbum, 2), in Lui il contenuto della Rivelazione e il Rivelatore coincidono. Gesù ci mostra il volto di Dio e ci fa conoscere il nome di Dio. Nella Preghiera sacerdotale, nell’Ultima Cena, Egli dice al Padre: «Ho manifestato il tuo nome agli uomini… Io ho fatto conoscere loro il tuo nome» (cfr Gv 17,6.26). L’espressione “nome di Dio” significa Dio come Colui che è presente tra gli uomini. A Mosè, presso il roveto ardente, Dio aveva rivelato il suo nome, cioè si era reso invocabile, aveva dato un segno concreto del suo “esserci” tra gli uomini. Tutto questo in Gesù trova compimento e pienezza: Egli inaugura in un nuovo modo la presenza di Dio nella storia, perché chi vede Lui, vede il Padre, come dice a Filippo (cfr Gv 14,9). Il Cristianesimo – afferma san Bernardo – è la «religione della Parola di Dio»; non, però, di «una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente» (Hom. super missus est, IV, 11: PL 183, 86B). Nella tradizione patristica e medioevale si usa una formula particolare per esprimere questa realtà: si dice che Gesù è il Verbum abbreviatum (cfr Rm 9,28, riferito a Is 10,23), il Verbo abbreviato, la Parola breve, abbreviata e sostanziale del Padre, che ci ha detto tutto di Lui. In Gesù tutta la Parola è presente.

In Gesù anche la mediazione tra Dio e l’uomo trova la sua pienezza. Nell’Antico Testamento vi è una schiera di figure che hanno svolto questa funzione, in particolare Mosè, il liberatore, la guida, il “mediatore” dell’alleanza, come lo definisce anche il Nuovo Testamento (cfr Gal 3,19; At 7,35; Gv 1,17). Gesù, vero Dio e vero uomo, non è semplicemente uno dei mediatori tra Dio e l’uomo, ma è “il mediatore” della nuova ed eterna alleanza (cfr Eb 8,6; 9,15; 12,24); «uno solo, infatti, è Dio – dice Paolo – e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù» (1 Tm 2,5; cfr Gal 3,19-20). In Lui noi vediamo e incontriamo il Padre; in Lui possiamo invocare Dio con il nome di “Abbà, Padre”; in Lui ci viene donata la salvezza.

Il desiderio di conoscere Dio realmente, cioè di vedere il volto di Dio è insito in ogni uomo, anche negli atei. E noi abbiamo forse inconsapevolmente questo desiderio di vedere semplicemente chi Egli è, che cosa è, chi è per noi. Ma questo desiderio si realizza seguendo Cristo, così vediamo le spalle e vediamo infine anche Dio come amico, il suo volto nel volto di Cristo. L’importante è che seguiamo Cristo non solo nel momento nel quale abbiamo bisogno e quando troviamo uno spazio nelle nostre occupazioni quotidiane, ma con la nostra vita in quanto tale. L’intera esistenza nostra deve essere orientata all’incontro con Gesù Cristo all’amore verso di Lui; e, in essa, un posto centrale lo deve avere l’amore al prossimo, quell’amore che, alla luce del Crocifisso, ci fa riconoscere il volto di Gesù nel povero, nel debole, nel sofferente. Ciò è possibile solo se il vero volto di Gesù ci è diventato familiare nell’ascolto della sua Parola, nel parlare interiormente, nell’entrare in questa Parola così che realmente lo incontriamo, e naturalmente nel Mistero dell’Eucaristia. Nel Vangelo di san Luca è significativo il brano dei due discepoli di Emmaus, che riconoscono Gesù allo spezzare il pane, ma preparati dal cammino con Lui, preparati dall’invito che hanno fatto a Lui di rimanere con loro, preparati dal dialogo che ha fatto ardere il loro cuore; così, alla fine, vedono Gesù. Anche per noi l’Eucaristia è la grande scuola in cui impariamo a vedere il volto di Dio, entriamo in rapporto intimo con Lui; e impariamo, allo stesso tempo a rivolgere lo sguardo verso il momento finale della storia, quando Egli ci sazierà con la luce del suo volto. Sulla terra noi camminiamo verso questa pienezza, nell’attesa gioiosa che si compia realmente il Regno di Dio. Grazie.

Saluti:

Je salue cordialement les pèlerins francophones, particulièrement les élèves venus de Strasbourg! Je vous invite à l’écoute assidue de la Parole de Dieu et à vivre pleinement du Mystère de l’Eucharistie, pour être familiers du visage de Jésus. Vous pourrez alors le reconnaître dans les personnes qui sont pauvres, faibles et souffrantes. Bon pèlerinage à tous!

I am pleased to greet all the English-speaking visitors present at today’s Audience, including the pilgrimage groups from Australia and the United States of America. My particular greeting goes to the pilgrims from the Catholic Near East Welfare Association. I also welcome the deacons from Saint Paul Seminary and the many college and university students present. May the light of the Lord’s face shine upon all of you and fill you with his richest blessings of joy and peace!

Ganz herzlich grüße ich alle Brüder und Schwestern deutscher Sprache. Ich sagte schon: Wenn wir Gottes Antlitz sehen wollen, müssen wir Christus nachfolgen. Als Zeugen seiner Liebe wollen wir es tun. Der Heilige Geist schenke euch allen Frieden und wahre Freude.

Saludo a los fieles de lengua española provenientes de España y Latinoamérica. Invito a todos a escuchar la Palabra y a participar en la Eucaristía, en donde se manifiesta especialmente el rostro de Cristo. Así crecerá nuestro amor y podremos también reconocer al Señor en el que sufre y en el pobre. Muchas gracias.

Uma saudação cordial aos peregrinos de língua portuguesa, nomeadamente ao grupo de “Cantorias”, da Diocese de Viseu: me quisestes recordar em vosso canto. Agradeço-vos e, de bom grado, vos encorajo na consagração à Virgem Maria para um feliz êxito na vossa configuração a Cristo. Desçam sobre vós e vossas famílias as Bênçãos de Deus. Obrigado.

Saluto in lingua araba:

البَابَا يُصْلِي مِنْ أَجَلِ جَمِيعِ النَّاطِقينَ بِاللُّغَةِ العَرَبِيَّةِ. لِيُبَارِك الرَّبّ جَمِيعَكُمْ.

Traduzione italiana:

Il Papa prega per tutte le persone di lingua araba. Dio vi benedica tutti.

Saluto in lingua polacca:

Witam polskich pielgrzymów. Dziś zwracamy swe myśli ku Temu, który jest pośrednikiem i pełnią Bożego Objawienia. W Jezusie z Nazaretu Bóg nawiedza swój lud, posyłając swego Jednorodzonego Syna, który stał się człowiekiem. Jezus nie tylko mówi o Bogu, ale objawia Jego oblicze. Wpatrzeni w nie każdego dnia, zmierzajmy ku tej pełni, oczekując realizacji Królestwa Bożego. Niech Bóg wam błogosławi!

Traduzione italiana:

Do il benvenuto ai pellegrini polacchi. Oggi volgiamo i nostri pensieri verso Colui che è mediatore e pienezza della Rivelazione divina. In Gesù di Nazareth, Dio visita il suo popolo, manda il suo Figlio Unigenito che si fa uomo. Gesù non solo parla di Dio, ma ci rivela il Suo volto. Fissandone lo sguardo ogni giorno, camminiamo verso questa pienezza, nell’attesa che si compia il Regno di Dio.

APPELLO

Dopodomani, venerdì 18 gennaio, inizia la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che quest’anno ha come tema: “Quel che il Signore esige da noi”, ispirato a un passo del profeta Michea (cfr Mi 6 6-8). Invito tutti a pregare, chiedendo con insistenza a Dio il grande dono dell’unità tra tutti i discepoli del Signore. La forza inesauribile dello Spirito Santo ci stimoli ad un impegno sincero di ricerca dell’unità, perché possiamo professare tutti insieme che Gesù è il Salvatore del mondo.

* * *

E adesso rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli della Diocesi di Civita Castellana – sono tanti, tremila – accompagnati dal Vescovo Mons. Romano Rossi. Cari amici, l’esempio della Beata Cecilia Eusepi aiuti ciascuno di voi, specialmente i giovani, a perseverare nella generosa adesione a Cristo e nella gioiosa testimonianza del Vangelo. Saluto poi gli studenti della diocesi di Caserta; anche voi dovevate essere accompagnati dal vostro Vescovo Mons. Pietro Farina, che è ammalato mi dicono, preghiamo per lui. Questo incontro rafforzi in ciascuno la fede e l’impegno di vita cristiana. E saluto con affetto i piccoli degenti dell’Istituto nazionale per la ricerca e la cura dei tumori di Milano ed assicuro la mia preghiera affinché il Signore sostenga ognuno con la sua grazia.

Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Domani celebreremo la memoria liturgica di sant’Antonio Abate, insigne padre del monachesimo, maestro spirituale e modello sublime di vita cristiana. Il suo esempio aiuti voi, cari giovani, a seguire Cristo senza compromessi; sostenga voi, cari malati, nei momenti di sconforto e di prova; e stimoli voi, sposi novelli, a non trascurare la preghiera nella vita di ogni giorno. Grazie.